venerdì 4 settembre 2015

La città delle "cricche"

Chiedere al potere
di riformare il potere ..
Che ingenuità!”
(G. BRUNO)

 Occorrerebbe davvero una “cricca” senza scrupoli per governare questa città ormai in piena balia degli elementi. “Nave senza nocchiero in gran tempesta” è senza più ombra di dubbio - e agli occhi di tutti - quella che fu la “civitas locupletissima” di Cicerone. Tendopoli abusive, buonismo a (buon) mercato, dichiarazioni e proclami di una classe politica alla deriva, ecco il panorama che s’affaccia dalla gran falce di Crono alla sommità dei rilievi peloritani. Ai due antipodi le rispettive Madonnine, dal porto e dal santuario di Dinnamare, sembrano guardarsi desolate - l’una immagine speculare dell’altra - senza tuttavia perdere la speranza, almeno per chi come il sottoscritto ci crede, nell’infinita misericordia del Redentore.
Una cricca occorrerebbe, e munita degli attrezzi del mestiere – intelligenza, autorevolezza, passione – destinati finalmente a soppiantare gli altri, di attrezzi – astuzia, autoritarismo, sfruttamento sistematico del territorio - che hanno letteralmente demolito a picconate la città risorta dalle rovine del Grande Sisma. Un rovesciamento di forma mentis in tal senso opererebbe per il ripristino non solo dei valori della legalità e del civismo, ma anche e soprattutto per la rivoluzione dell’aspetto fisico della città. Una città brutta, infatti, ispira disgusto e mancata cultura d’appartenenza; rifondarla dal punto di vista urbanistico recuperando, nel solco della memoria, i simboli vivi ed essenziali – il porto antico, gli spazi fieristici, i villaggi tanto per fare un esempio – significa esaltarne l’identità per troppo tempo sopita sotto le sabbie mobili dell’apatia.
Un’apatia per la quale non può funzionare la storiella-alibi dello scirocco che fiacca le volontà e deprime l’umore, utile soltanto a distribuire deleghe in bianco a una classe politica e dirigenziale di chiaro stampo delinquenziale. Chi delinque ai danni di Messina, beninteso, lo fa ai danni dei suoi abitanti. La classe elettrice è dunque responsabile, parimenti a quella degli eletti, del naufragio materiale, oltre che etico, d’una comunità che annaspa ormai alla ricerca di un refolo d’aria che le consenta di respirare sott’acqua. Commissioni ed omissioni s’addensano e confondono sullo sfondo dello Stretto che rese Messina porto franco e centro degli scambi mediterranei per secoli.
Benvenute allora, cricche di cittadini che avete il coraggio di aprire gli occhi sulla scena del crimine, liberate le vostre menti dalle pastoie dell’acquiescenza e dell’utilitarismo, riprendetevi la vostra città. Non abbiate timore delle chiacchiere di quanti vi assicurano che, tanto, nulla può cambiare. L’irredimibilità d’ogni popolo, specie di quello siciliano, nasce da comportamenti consolidati, paura delle critiche, noia del nuovo.
Ma la Sicilia, nel corso dei millenni, è rimasta pur sempre salda sulle proprie fondamenta e Messina, da parte sua, poggia ancora solidamente sulle robuste spalle di Colapesce. 

Giuseppe Ruggeri 

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