martedì 17 aprile 2018

Domande sul caso Basso / Centonove


Un cittadino di Messina potrebbe aver voglia di sapere, al di là delle accuse che gli sono state mosse, perché per mesi è stato posto agli arresti domiciliari il giornalista-editore del settimanale messinese a diffusione regionale “Centonove”, una delle pochissime voci libere in questa martoriata città, che fu già definita “un verminaio”, durante la visita di alcuni anni fa della Commissione antimafia, a causa degli intrecci perversi esistenti tra i cosiddetti, innominabili, poteri forti che l’hanno ridotta nello stato che è sotto gli occhi di tutti.
Circolano le voci più strane e inverosimili su questo vero e proprio “caso Basso”: che non sia stato nemmeno sentito in un contraddittorio dagli inquirenti (possibile, in uno stato di diritto?); che non sia stato nemmeno raggiunto da un avviso di garanzia (ma questa è certamente una “bufala”, visto che viviamo, come già detto, o dovremmo vivere in uno stato di diritto); che i suoi lunghissimi arresti domiciliari siano del tutto impropri, visto che non esiste ormai da tempo né il pericolo di reiterazione del reato, né il pericolo di fuga, né la possibilità che il colpevole presunto (che rimane tale sino alla celebrazione del processo) possa inquinare le prove, dal momento che tutto quanto concerneva la sua attività è stato posto sotto sequestro.
Per quanto ne sappiamo, Enzo Basso è stato destinatario di un provvedimento restrittivo della libertà da parte del Tribunale di Messina per una serie di cambi societari considerati anomali in una inchiesta che riguarda proprio la gestione della testata: l’indagato o l’imputato (quando e se si arriverà a processo) sarebbe una sorta di giocoliere, fondatore di società che poi avrebbe dissanguato per non pagare i creditori.
Basso, da parte sua, afferma di non avere debiti con le banche e che è lui ad aver intentato una causa per usura e anatocismo contro due istituti di credito e spiega che le problematiche fiscali su tasse e credito d’imposta, relative ai cambiamenti di gestione avvenute nel passaggio da “Centonove” a due cooperative, sono oggetto di cause pendenti e non ancora, quindi, definite.
Aggiunge ancora che l’accusa a lui mossa non è, come da troppi si è detto, di “bancarotta fraudolenta”, ma di “bancarotta impropria”, termine giuridico che sta a significare che Basso avrebbe danneggiato se stesso non presentando decreti ingiuntivi contro una cooperativa di soci-giornalisti (alla quale l’Editoriale Centonove ha ceduto, con regolare atto notarile, la testata “Centonove”, versando regolarmente le tasse), che non riusciva a pagare quanto pattuito.
E dove sarebbe il “disegno criminoso” di Basso di accedere ai contributi sull’editoria previsti da una legge del 1990, se la cooperativa Kimon non ha mai ricevuto un euro?
Dove sarebbe l’ “unica direzione aziendale” del “criminale” se esistono tre diverse società, con dipendenti regolarmente contrattualizzati e contributi e tasse regolarmente versati? E il colpevole finanziamento IRCAC, che mai, in realtà, è stato erogato per mancanza di fidejussione?
Intanto, il giornale è stato posto all’asta e, a prescindere da chi lo comprerà (saremo curiosi su di esso), è comunque scomparsa una voce libera della nostra città, una vera e propria fucina per tantissimi cronisti e giornalisti, che in essa si sono formati.
Auspichiamo che la magistratura possa chiarire al più presto quelli che al comune cittadino sembrano, a tutt’oggi, i tanti lati oscuri della vicenda. Vogliamo credere che a ciò si possa giungere prima possibile per il bene della verità e soprattutto per il bene di questa città.

Felice Irrera
Giuseppe Iannello
Gerardo Rizzo