Graduatorie
per docenze accademiche prive di punteggio; solo opinioni. E
candidati dimenticati
Andate
a dare un'occhiata - ci suggeriscono – e vi renderete conto voi
stessi. All'università di Messina, graduatorie senza punteggi,
basate su opinioni e giudizi discrezionali. E gli occhi hanno
confermato ciò che avevamo udito. Verba volant, ma scripta
manent ci sarebbe da dire.
Si
tratta della selezione pubblica per titoli di contratti a titolo
oneroso ex art. 23 L.240/2010 per insegnamenti scoperti, per lo più
della durata di alcune decine d'ore. “Onerosi” si fa per dire
perché prevedono una retribuzione di 40 euro lorde per ora, che al
netto si dimezzano: insomma docenze universitarie pagate meno di
quelle in un corso di recupero nelle scuole. Quindi nessuna
prospettiva d'arricchimento dietro l'angolo, se non quella di
rimpinguare il proprio curriculum con qualche “stellina” in più.
I
verbali relativi pubblicati on line dalle commissioni
giudicatrici si riferiscono al momento, per la maggior parte, ad
insegnamenti impartiti al DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e
Moderne): almeno cinque, di quelli da noi presi in visione, risultano
completamenti privi di valutazioni in termini di punteggio. In due,
nessuno dei candidati viene ritenuto idoneo e negli altri tre invece
si stila una graduatoria in termini di primi e secondi classificati
senza attribuire loro nessun punteggio. Com'è possibile? Se lo
chiede addirittura un membro stesso della commissioni che fa mettere
in coda al verbale la seguente dichiarazione: il commissario “ritiene
doveroso di aggiungere al verbale che si dissocia dalle decisioni
della commissione in quanto la mancata assegnazione del punteggio non
consente di rendere trasparenti gli esiti della procedura di giudizio
e presentare un quadro che sia un insieme equo ed obiettivo della
posizione di ogni singolo candidato”
Siamo
alla frutta. Si agisce in modo del tutto discutibile e lo si mette
pure a verbale. Sicuramente il commissario lo avrà fatto per
tutelarsi dagli inevitabili ricorsi e per una questione di decoro
professionale; ma il dipartimento, l'università, come possono
permettersi di affermare pubblicamente e tranquillamente: “abbiamo
fatto le cose alla carlona”?
E'
vero, la commissione giudicatrice implicata ha stilato un giudizio
articolato sui curriculum vitae presentati dei candidati, ma in
termini discorsivi e soggettivi da fare venire i brividi. Eppure
l'art. 4 del bando era chiaro: “costituiscono, in ogni caso,
titoli da valutare ai fini della selezione, purché pertinenti
all'attività da svolgere: (in ordine) attività didattica già
maturata in ambito accademico, titoli di studio e professionali,
eventuali pubblicazioni”
Nei
verbali con la dichiarazione del “dissociato” (sono ben tre) la
commissione, prima di iniziare l'esamina dei titoli prodotti,
dichiara di prendere atto della proposta del commissario di adottare
un punteggio, come se fosse un optional, e poi prosegue per la sua
strada…, inoltrandosi nei meandri dei giudizi sui percorsi di
ricerca dei candidati e sulla valutazione comparativa di decine di
pubblicazioni, arrivando nello spazio di una mezz'oretta a leggersi
le opere prodotte, a discuterne e a scriverne un giudizio. “Questo
secondo noi è più bravo questo meno”: al diavolo i punti, gli
anni di docenza universitaria, i titoli. Le griglie di valutazione
andranno bene per la scuola, dove ne viene richiesta una ad ogni
passo, prossima anche quella per dare all'alunno il permesso per
andare in bagno. All'università prevale invece il “buon senso”:
cosa c'è di meglio d'un bel giudizio, come quello che si metteva una
volta a scuola nel foglio protocollo, dietro, per i temi in classe?
Un'università
“vecchio stile”, si dirà... Intanto mentre finiamo di scrivere
ci giunge la notizia che “quelle” graduatorie hanno un altro
tratto caratteristico: sono prive del nome di qualche candidato che,
pur avendo in mano la ricevuta della PEC (Posta Elettronica
Certificata) contenente la domanda inviata, non si ritrova neanche
citato nei verbali. Sarà vero? Si tratterebbe della famigerata
ciliegina sulla torta.
Edoardo
Mercalli
articolo pubblicato su "Centonove" del 3 dicembre 2015