Lo reazione ragionata di un cittadino molto poco convinto dalla
conferenza stampa di addio del vescovo della sua città
E così il pastore ha lasciato il
suo gregge. L’arcivescovo di Messina ha annunciato il 24 settembre,
nel corso dell’Assemblea del clero, le sue dimissioni (poi
confermate nella conferenza stampa del 26), ufficialmente per motivi
di salute (ai sensi del comma 2 del canone 401 del Codice di diritto
canonico, che prevede come “il
Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse
meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato
a presentare la rinuncia all’ufficio”).
Davvero strano che i poteri forti cittadini, rappresentati
soprattutto da certa stampa, siano stati colti di sorpresa come un
fulmine a ciel sereno: possibile che non si fossero accorti davvero
che qualcosa non andava nella conduzione della Diocesi? Qualcuno ha
pensato, forse per giustificarsi, di mandare in onda scorci
dell’intervista al predecessore di La Piana, Giovanni Marra, che ha
dichiarato di averlo incontrato la settimana precedente al San
Tommaso e che nulla lasciava presagire questa decisione, dovuta
probabilmente a “malessere fisico e forse morale”.
E
pensare che La Piana nella sua conferenza stampa se l’è presa
proprio con la stampa (però solo quella on-line), chiamata
“ignorante e presuntuosa”, “costruttrice di falsità e di
menzogne”, fatta di “raccoglitori e spargitori di fango”.
Proprio quella stampa sul web che più volte ha messo in rilievo le
sue continue beghe con i confratelli, i suoi forti scontri verbali
con essi, il suo comportamento dittatoriale, oltre a certi lati
oscuri dell’amministrazione: in
particolare, alcune testate locali hanno riportato indiscrezioni
relative alle condizioni economiche dissestate dell’Arcivescovato,
con un buco che sarebbe milionario. Rumors, voci non confermate e
ipotesi che non hanno mancato e non mancano ancora di provocare lo
scompiglio nel mondo ecclesiastico locale.
Ultimamente, ad esempio, una
serie di articoli pubblicati su Linkiesta.it aveva messo in luce il
caso di Tirreno Ambiente che ha portato all’arresto
di Salvatore Bucolo, sindaco di Mazzarrà
Sant’Andrea, e ha costretto alle dimissioni, pur se non indagato,
don
Giuseppe Brancato, capo della Caritas messinese; mentre non sembra un
caso che Antonia De Domenico, attuale presidente di Tirreno Ambiente,
sia sorella di Francesco De Domenico, presidente della Banca
Antonello da Messina, un credito cooperativo tra i cui soci c’è
pure, dal 2002, proprio la diocesi. Indizi,
certo, ma siccome altri ce ne sono o c’è una congiura (magari
massonica, chissà!) oppure… Qui non si tratta, come La Piana ha
detto, di “scambiare lucciole per lanterne” perché occorrerebbe
che in una Chiesa che vuole veramente essere maestra e soprattutto
“povera”, come vuole Papa Francesco, non ci fossero nemmeno le
lucciole.
E a
proposito di bilanci, è risultata piuttosto semplicistica
l’affermazione da parte del presule che in tutte le famiglie ci
sono “momenti di crisi”, ma che parlare di “ammanchi” è
fuori luogo. Ci verrebbe da chiedergli se proprio per sanare un
bilancio dissestato sia scattata da diverso tempo da parte della
Diocesi la locale “spending review” che, come altrove abbiamo
scritto, ha portato non solo al ritardato pagamento degli stipendi ai
docenti, ma poi alla chiusura pratica dell’Istituto Superiore di
Scienze Religiose “Santa Maria della Lettera” di Messina (con
l’annessa biblioteca rimodernata da poco, con un lavoro
encomiabile, da un laico, che, posto che mai fosse stato assunto, è
stato ovviamente licenziato); e all’incameramento da parte della
Curia di una somma da parte dei Rogazionisti in cambio della
vergognosa chiusura della “Casa del clero”.
Il prelato ha insistito molto,
dal canto suo, sul fatto che la sua non è stata una “rinunzia”,
ma “la grazia di essere sollevato dal suo incarico”, avanzata per
lettera al Santo Padre addirittura il 16 maggio; e non una
“rimozione”, cioè quella in base alla quale viene inviato dalla
Santa Sede un Visitatore Apostolico, per verificare se i disordini e
le varie problematiche segnalate nella diocesi sono vere o false. In
sostanza, se ne va - ha detto con voce spezzata e tremante - solo
perché il suo fisico, per la fragilità dell’attuale condizione,
non ce la fa più a reggere l’impegnativa missione alla quale era
stato chiamato da Benedetto XVI nel momento della sua nomina a
Messina. Ha aggiunto che da alcuni anni cercava di resistere,
incoraggiato in ciò da chi gli viveva accanto, senza curarsi del
proprio fisico, rinunziando ad analisi ed esami ed anche a periodi di
riposo di cui avrebbe potuto usufruire facilmente accettando gli
inviti a viaggiare che gli pervenivano da varie parti del mondo:
tutto solo per “servire” anima e corpo questa Diocesi, ormai
troppo grande e pesante per lui, per “paura” di lasciare la
comunità.
Se questa è la vera motivazione
delle dimissioni, accettate a Roma il 7 settembre quando ha detto di
esser stato lì convocato (e non una pressione, ai fini di un’uscita
soft, esercitata dall’alto su di lui in seguito all’ampio dossier
di lamentele accumulatosi in Vaticano sul suo operato ad opera di
un’ampia parte della chiesa locale), una colpa, comunque, La Piana
ce l’ha di sicuro ed è quella di aver atteso troppo (lui dice
“anni”) senza curarsi del “progressivo calo” della tenuta
fisica della sua persona, di questo suo male oscuro, fisico o di
spirito che sia, che gli impedisce, per esempio, di “presenziare
alle processioni (basti ricordare le polemiche sul fatto che nel
giorno della Vara egli abbia impartito la benedizione e dato il suo
messaggio dall’alto del Palazzo Arcivescovile, prima della
“girata”) e, più in generale, di reggere il peso di una giornata
fitta d’impegni.
Ha dimostrato di non aver
compreso, se non molto tardi, di scaricare così i suoi problemi
sulla diocesi, ridotta dal suo stesso operato, ondivago e incapace di
sostenere il suo ruolo e di indicare una rotta, ad uno scontro
continuo tra fazioni. Gli si può, insomma, rimproverare di non aver
tratto quando doveva, molto prima, le stesse conclusioni che gli
servono ora per giustificarsi: allora sì che avrebbe dimostrato con
“senso di responsabilità”, onestà e grande amore per la Chiesa.
E quanto alla denunzia di una
società caratterizzata da menzogna, arrivismo, ricerca del proprio
interesse, corruzione, è proprio sicuro Monsignore che dentro di
essa ci siano solo i giornalisti?
Felice Irrera