mercoledì 14 aprile 2021

A PROPOSITO DELL’EDITORIALE DELL’8 APRILE DI “LETTERAEMME”

L'editoriale di LetteraEmme

ovvero

Del perché il giornalista non può tirarsi fuori


Credo che il giornalismo sia composto di fatti, ma anche di opinioni: i fatti informano su ciò che è inoppugnabilmente accaduto (e dipende dall’abilità del cronista non mescolarlo alle opinioni, come purtroppo troppo spesso accade); le opinioni devono espressamente essere dichiarate per tali.


Ora, è un fatto che per varie motivazioni, facilmente esprimibili da parte di un giornalista serio, c’è molto smarrimento nell’opinione pubblica sui vaccini e in particolare su quell’AstraZeneca che ha la principale responsabilità di questo disorientamento con le sue contraddittorie comunicazioni circa l’età dei vaccinandi: mettere in rilievo questo da parte del giornalista è certo un’opinione, ma se supportata e corroborata dalle diverse comunicazioni di AstraZeneca diventa un fatto, che d’altronde è ormai condiviso, senza riserve, da tutti i media e dai cittadini che da essi sono stati su questo correttamente informati.

Attaccare AstraZeneca per questo motivo è dunque perfettamente logico e legittimo.

Giusto è anche che l’ordine dei giornalisti abbia raccomandato prudenza e attenzione nel raccontare una pandemia di cui all’inizio non si conosceva nulla, evitando ogni sensazionalismo.

Che i giornali, in genere, e soprattutto le discussioni sui social possano alimentare il protagonismo più basso alla ricerca del sensazionalismo che fa, in un caso, vendere, nell’altro acquistare consenso, è un dato che non è stato certo la pandemia ad evidenziare.

Ma è questo un buon motivo per restare in silenzio?

Scegliere, come hanno fatto l’agenzia europea e poi quella italiana del farmaco di non scegliere è pilatesco, genera confusione e spinge i singoli Paesi europei ad andare ciascuno per conto proprio, come appunto sta avvenendo! Sarebbe proprio sbagliato segnalare questa decisione gravissima di istituzioni così importanti, anch’esse dimostratesi altalenanti, se non altro per riformarle opportunamente onde funzionino meglio?

Mancano, ci viene detto da codeste agenzie, i dati scientifici che dimostrino, riguardo ai casi e alle morti dopo i vaccini, il nesso causale post hoc, ergo propter hoc, ma la mancanza di tali dati (sui quali ci sarebbe se mai da chiedersi, ma questa è un’opinione, quanti se ne siano realmente verificati o se essi si siano dissolti come nebbia nella marea dei morti) è dovuta alla stessa difficoltà di stabilire dopo la morte se ciò sia avvenuto di covid o per covid. Anzi, mi correggo, non alla difficoltà di verificare l’eventuale correlazione (le autopsie che avvengono in tutti i casi di qualsiasi genere di morti sospette sono in grado di farlo, ma ci vuole tempo!), bensì all’opportunità-necessità di proseguire il più rapidamente possibile la vaccinazione con la diffusione del messaggio: il vaccino è sicuro, i casi di morte sono rarissimi.

Dicono ciò quegli stessi virologi, balzati da più di un anno agli onori della cronaca dopo aver svolto da sempre in laboratorio il loro lavoro oscuro, che sono continuamente chiamati a dire la loro illuminata opinione su tutti i mass-media, proprio perché questi ultimi ritengono che l’opinione pubblica debba, com’è tradizione del giornalismo da sempre, essere informata.

Tutti i mass-media, tranne LetteraEmme, che si fida dell’EMA, che sarebbe perciò, secondo questo giornale, “l’unica titolata ad esprimersi e non con congetture, sospetti, possibilità, voci di corridoio e si dice”.

Si dà il caso, però, che detta EMA, pur confermando la positività del rapporto rischio-beneficio nell’uso di Vaxzevria (nuovo nome di AstraZeneca, chissà perché: qualcuno ha un’opinione?), ha scritto, prendendo in considerazione tutti gli elementi attualmente disponibili, che “i trombi inusuali associati a bassi livelli di piastrine debbano essere elencati come effetti indesiderati molto rari di Vaxzevria” e ha richiamato l’attenzione degli operatori sanitari e delle persone vaccinate affinché siano consapevoli della possibilità che entro due settimane dalla vaccinazione si verifichino casi molto rari di ciò, cosa che finora, nella maggior parte dei casi segnalati, si è verificata, appunto, entro due settimane dalla vaccinazione in donne di età inferiore a 60 anni. Dunque, via nei vari Stati alla vaccinazione con il vaccino dal novello nome per gli ultrasessantenni, sui quali la stessa produttrice ha dichiarato di non averlo mai provato!

Non è tutto. L'EMA, alle cui decisioni LetteraEmme si richiama come ad un oracolo, ha richiamato l’attenzione degli operatori sanitari e delle persone vaccinate affinché siano consapevoli della malaugurata possibilità di effetti negativi della somministrazione e, in caso di precisi sintomi (elencati) cerchino immediata assistenza medica: personalmente, mi consta di decine di casi di persone che hanno sofferto disturbi col suddetto vaccino, al di là dei casi (sporadici?) di morte.

Non parlo, perché se ne hanno dai vari Stati pochissime notizie, degli altri vaccini, né mi voglio addentrare in dispute geo-politiche relative alle industrie produttrici, che ci porterebbero molto lontano dall’attuale soggetto.

Ma se un giornale non segnala tutto ciò, rifiutando, come mostra di voler fare LetteraEmme, di fare da cassa di risonanza di ciò che sta accadendo nel Paese, rifiuta pure d’informare i propri lettori su quanto sopra detto, giovandosi del fatto che sono altri (giornali e mass-media) a farlo al suo posto.

Anche questo non è pilatesco?

10/04/ 2021

Felice Irrera


Ho sottoposto io a F. Irrera l’editoriale oggetto di questo nostro intervento. Per certi aspetti stentavo a crederci; convinta è infatti la stima che ho per la testata “LetteraEmme”. Di seguito ripropongo le affermazioni lette, ponendole come domande.

- “Il giornalismo non dovrebbe alimentare dubbi”?

La risposta che si dà la redazione di “LetteraEmme” è questa: “Il giornalismo è un mestiere, questo che, a nostro giudizio, dovrebbe fornire risposte, non alimentare dubbi e incertezze, cavalcando il sentimento popolare”

Rilancio su questa risposta un’altra domanda: “Fornire risposte”?

E poi cos’è il “sentimento popolare”? Il giornalista quindi non fa parte del popolo? Si pone forse al di sopra di esso? Forse lo deve educare? O forse lo deve comprendere o lo deve esprimere?

- “Facciamo i giornalisti e basta raccontando i fatti. Se i fatti ci sono”?

Un giornalista è questo? Cos’è il “fatto”? Se il fatto esistesse di per sé, che bisogno ci sarebbe di raccontarlo? Qualsiasi racconto del “fatto” non è forse invece un’interpretazione del fatto stesso? L’unico vero fatto, nell’accezione che di questo ne dà LetteraEmme, è che esisteranno tanti fatti quante saranno le persone che lo racconteranno. Il giornalista, il mestiere del giornalista è in questo senso quello di raccogliere i “racconti” diversi – magari opposti - del fatto e fornirne al lettore una chiave di lettura.

***

Ultima considerazione, questa del tutto personale ma convinta: non esiste più la sola cronaca locale, regionale o esclusivamente nazionale. Qualsiasi “fatto”, in particolare legato alla pandemia, va inserito in un quadro molto più vasto, quello internazionale, ed occorre armarsi di chiavi di lettura che aprano alla geopolitica, quella multipolare, dove hanno diritto di parola tutti, l’Occidente e l’Oriente, il Nord e il Sud del Mondo. Dovremmo alimentare il dubbio in noi stessi che forse esiste anche un altro modo di vedere; insomma che esiste sempre un’altra “storia”; cito da una poesia di W.H. Auden:

There is always another story,

there is more than meets the eye

C’è sempre un’altra storia,

c’è di più di quello che si mostra all’occhio


12/04/2021

Giuseppe Iannello