lunedì 27 gennaio 2020

A PROPOSITO DI CRAXI

Quando non si crede alle riabilitazioni

 
La vignetta di Altan menzionata nell'articolo
Il 7 marzo 1993 “L’Espresso” pubblicava una profetica, ancorché beffarda, vignetta di Altan riguardante il dramma in corso dei socialisti. Mi sono ricordato di essa leggendo l’articolo scritto da Marco Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” a proposito del recente film di Gianni Amelio “Hammamet”, di cui sono venuto a conoscenza attraverso recensioni, più o meno santificanti e comunque sicuramente devianti riguardanti il giudizio politico sul già latitante Bettino Craxi.
Non andrò a vedere questo film perché ho la sensazione che il revisionismo riguardo la sua figura che sembra regnarvi non possa che giustificare le malefatte di quanti (innanzitutto il suo grande amico Berlusconi) dopo di lui hanno continuato a infestare lo Stato.
E se c’è qualcuno che crede che colui che è stato definito da Marco Travaglio “il re di Tangentopoli” (basti pensare ai 50 miliardi di lire scovati nel ’93 da Mani Pulite sui suoi conti svizzeri), era, comunque, come si comincia o non si è mai finito di dire, “un grande politico moderno, uno statista europeo, un padre del riformismo e un leader innovatore”, chi esamina la sua attività non può non considerarlo davvero responsabile di tanti disastri della recente storia di questo disgraziato Paese.
Agli smemorati di Altan Travaglio ha il merito di ricordare che durante gli anni del suo governo (1983-87) il debito pubblico aumentò di più del doppio, con il corrispondente peggioramento del rapporto debito-Pil che ci viene continuamente rinfacciato dall’Europa; che, grazie al suo mega-condono edilizio, dilagò l’abusivismo; che nel campo della politica interna propose la trattativa con le Br per liberare Moro, biasimando la fermezza degli altri partiti della maggioranza; che si oppose ad ogni risanamento dei carrozzoni delle Partecipazioni statali, gestiti dai suoi uomini, per cui lo Stato macinò passivi miliardari; che sotto la presidenza dell’amico e sodale di partito Enrico Manca, favorì la Fininvest (al cui capo, appunto Berlusconi regalò due decreti, nel 1985-’86 per annullare le ordinanze dei pretori che intendevano solo far rispettare la legge all’amico Silvio); che, non contento di ciò, fece emanare nel ’90, la legge Mammì, istituendo di fatto il monopolio della tv privata; che si oppose alle poche privatizzazioni sicuramente necessarie, come quella della Sme, che produceva, con perdite enormi, panettoni di Stato e quella dell’Alfa Romeo, che Prodi nel 1986 voleva vendere alla Ford, mentre Craxi preferì regalarla alla Fiat; che tramite il solito Berlusconi diede l’assalto alla Mondadori col contorno di tangenti ai giudici; che ingaggiò come consulente giuridico il giudice corrotto Renato Squillante, per proteggere i socialisti da indagini e arresti.
Ma non basta. Sotto di lui partirono i primi attacchi politici ai migliori magistrati e i progetti piduisti per assoggettare le procure al governo; il referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati per intimidire quelli che stavano mettendo il naso nelle mazzette craxiane; si ebbe una gestione verticistica del partito, con congressi plebiscitari e antidemocratici, ottenuti grazie a quella “democrazia dell’applauso” stigmatizzata dal filosofo Norberto Bobbio; si sprigionò un nepotismo sfrenato, che sistemò il giovane figlio Bobo a capo del Psi milanese e il cognato Pillitteri a sindaco di Milano; furono repressi i dissensi interni, con la cacciata di Codignola, Bassanini, Enriques, Agnoletti, Leon, Veltri e altri, definiti da lui nel 1981 “piccoli trafficanti della politica” e accusati di intelligenza col nemico (che altri non era che il Pci di Berlinguer) per aver osato sollevare la questione morale sullo scandalo Ambrosiano.
Non basta ancora. Craxi spalancò le porte a “nani e ballerine” dell’assemblea socialista, candidando al Parlamento statisti del calibro di Gerry Scotti e Massimo Boldi. E, intorno al Capo, ricorda ancora Travaglio, “preclare personalità come Larini, Mach di Palmstein, Tradati, Troielli, Raggio, Giallombardo, Parretti, Fiorini, Chiesa & C.; senza dimenticare i traffici con Gelli e Calvi e i rapporti persino con l’entourage di Epaminonda”.
Saranno o no tutti personaggi piuttosto lontani dalla tradizione “riformista” di cui Craxi sarebbe stato illustre e fervido esponente?
Quanto alla politica estera, si suole ricordare sempre (ed è avvenuto anche recentemente in televisione, Sigonella, dove il coraggioso premier Craxi si sarebbe opposto alla tracotanza di Reagan: in realtà, ciò di cui si rese protagonista fu la sottrazione al blitz Usa dei terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; e dopo essersi impegnato a farli processare in Italia, fece poi caricare il loro capo, Abu Abbas, su un aereo dei servizi segreti trasportandolo prima nella Jugoslavia di Tito e poi in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein.
Non è tutto, perché il nostro eroe fu fautore di una politica filoaraba e levantina che portò all’appoggio acritico all’Olp di Arafat (ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi addirittura a Mazzini in pieno Parlamento.
E riguardo il preteso europeismo craxiano, basta ricordare l’appoggio dato a regimi sanguinari e corrotti del tiranno somalo Siad Barre in cambio di leggendarie ruberie sulla “cooperazione”; e il capolavoro della guerra delle Falkland, nel 1982, quando l’ineffabile Bettino si schierò col regime dei generali argentini (quelli che avevano fatto sparire migliaia di oppositori) contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto l’Occidente!
Cosa resta allora di Craxi? Nulla, sia per quelli che ricordano questi fatti che per quelli che li hanno dimenticati.
No, non vedrò proprio il film di Amelio.

Felice Irrera