Quando
non si crede alle riabilitazioni
Il
7 marzo 1993 “L’Espresso” pubblicava una profetica, ancorché
beffarda, vignetta di Altan riguardante il dramma in corso dei
socialisti. Mi sono ricordato di essa leggendo l’articolo scritto
da Marco Travaglio su “Il Fatto Quotidiano” a proposito del
recente film di Gianni Amelio “Hammamet”, di cui sono venuto a
conoscenza attraverso recensioni, più o meno santificanti e comunque
sicuramente devianti riguardanti il giudizio politico sul già
latitante Bettino Craxi.
Non
andrò a vedere questo film perché ho la sensazione che il
revisionismo riguardo la sua figura che sembra regnarvi non possa che
giustificare le malefatte di quanti (innanzitutto il suo grande amico
Berlusconi) dopo di lui hanno continuato a infestare lo Stato.
E
se c’è qualcuno che crede che colui che è stato definito da Marco
Travaglio “il re di Tangentopoli” (basti pensare ai 50 miliardi
di lire scovati nel ’93 da Mani Pulite sui suoi conti svizzeri),
era, comunque, come si comincia o non si è mai finito di dire, “un
grande politico moderno, uno statista europeo, un padre del
riformismo e un leader innovatore”, chi esamina la sua attività
non può non considerarlo davvero responsabile di tanti disastri
della recente storia di questo disgraziato Paese.
Agli
smemorati di Altan Travaglio ha il merito di ricordare che durante
gli anni del suo governo (1983-87) il debito pubblico aumentò di più
del doppio, con il corrispondente peggioramento del rapporto
debito-Pil che ci viene continuamente rinfacciato dall’Europa; che,
grazie al suo mega-condono edilizio, dilagò l’abusivismo; che nel
campo della politica interna propose la trattativa con le Br per
liberare Moro, biasimando la fermezza degli altri partiti della
maggioranza; che si oppose ad ogni risanamento dei carrozzoni delle
Partecipazioni statali, gestiti dai suoi uomini, per cui lo Stato
macinò passivi miliardari; che sotto la presidenza dell’amico e
sodale di partito Enrico Manca, favorì la Fininvest (al cui capo,
appunto Berlusconi regalò due decreti, nel 1985-’86 per annullare
le ordinanze dei pretori che intendevano solo far rispettare la legge
all’amico Silvio); che, non contento di ciò, fece emanare nel ’90,
la legge Mammì, istituendo di fatto il monopolio della tv privata;
che si oppose alle poche privatizzazioni sicuramente necessarie, come
quella della Sme, che produceva, con perdite enormi, panettoni di
Stato e quella dell’Alfa Romeo, che Prodi nel 1986 voleva vendere
alla Ford, mentre Craxi preferì regalarla alla Fiat; che tramite il
solito Berlusconi diede l’assalto alla Mondadori col contorno di
tangenti ai giudici; che ingaggiò come consulente giuridico il
giudice corrotto Renato Squillante, per proteggere i socialisti da
indagini e arresti.
Ma
non basta. Sotto di lui partirono i primi attacchi politici ai
migliori magistrati e i progetti piduisti per assoggettare le procure
al governo; il referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei
magistrati per intimidire quelli che stavano mettendo il naso nelle
mazzette craxiane; si ebbe una gestione verticistica del partito, con
congressi plebiscitari e antidemocratici, ottenuti grazie a quella
“democrazia dell’applauso” stigmatizzata dal filosofo Norberto
Bobbio; si sprigionò un nepotismo sfrenato, che sistemò il giovane
figlio Bobo a capo del Psi milanese e il cognato Pillitteri a sindaco
di Milano; furono repressi i dissensi interni, con la cacciata di
Codignola, Bassanini, Enriques, Agnoletti, Leon, Veltri e altri,
definiti da lui nel 1981 “piccoli trafficanti della politica” e
accusati di intelligenza col nemico (che altri non era che il Pci di
Berlinguer) per aver osato sollevare la questione morale sullo
scandalo Ambrosiano.
Non
basta ancora. Craxi spalancò le porte a “nani e ballerine”
dell’assemblea socialista, candidando al Parlamento statisti del
calibro di Gerry Scotti e Massimo Boldi. E, intorno al Capo, ricorda
ancora Travaglio, “preclare personalità come Larini, Mach di
Palmstein, Tradati, Troielli, Raggio, Giallombardo, Parretti,
Fiorini, Chiesa & C.; senza dimenticare i traffici con Gelli e
Calvi e i rapporti persino con l’entourage
di Epaminonda”.
Saranno
o no tutti personaggi piuttosto lontani dalla tradizione “riformista”
di cui Craxi sarebbe stato illustre e fervido esponente?
Quanto
alla politica estera, si suole ricordare sempre (ed è avvenuto anche
recentemente in televisione, Sigonella, dove il coraggioso premier
Craxi si sarebbe opposto alla tracotanza di Reagan: in realtà, ciò
di cui si rese protagonista fu la sottrazione al blitz Usa dei
terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille
Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone
il cadavere in mare; e dopo essersi impegnato a farli processare in
Italia, fece poi caricare il loro capo, Abu Abbas, su un aereo dei
servizi segreti trasportandolo prima nella Jugoslavia di Tito e poi
in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein.
Non
è tutto, perché il nostro eroe fu fautore di una politica filoaraba
e levantina che portò all’appoggio acritico all’Olp di Arafat
(ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi addirittura a
Mazzini in pieno Parlamento.
E
riguardo il preteso europeismo craxiano, basta ricordare l’appoggio
dato a regimi sanguinari e corrotti del tiranno somalo Siad Barre in
cambio di leggendarie ruberie sulla “cooperazione”; e il
capolavoro della guerra delle Falkland, nel 1982, quando l’ineffabile
Bettino si schierò col regime dei generali argentini (quelli che
avevano fatto sparire migliaia di oppositori) contro la Gran Bretagna
appoggiata da tutto l’Occidente!
Cosa
resta allora di Craxi? Nulla, sia per quelli che ricordano questi
fatti che per quelli che li hanno dimenticati.
No,
non vedrò proprio il film di Amelio.
Felice
Irrera