Tra libri e giornali alla ricerca di un’ombra
La moda negli anni venti del Novecento |
Sul giornale di Messina “La sera” del 4 luglio 1924 si ritrova la seguente notizia:
“Proveniente da Napoli, si trova da più giorni nella nostra città la Contessa del Viminale, la quale, a quanto ci risulta da fonte ineccepibile, è stata vista fino a ieri sera a passeggiare sul viale S. Martino, al braccio di uno studente della Scuola Superiore di Nautica e pedinata a distanza da alcuni agenti di P. S.
La Contessa, fuggita da Roma, si sarebbe incontrata a Napoli col suddetto studente, e da questo incontro ne sarebbe nato un dolcissimo “flirt” che ha avuto il suo pieno rigoglio sotto il nostro bel cielo.
L’idillio sarebbe durato ininterrottamente per 72 ore, ed indi cessato per l’improvvisa partenza del damo.
Alla bionda incantevole Contessa dal mirabile corpo alto, robusto e flessuoso, e che forse ancora è nostra ospite, il saluto del... Viminale!”
Sullo stesso giornale, poi, pochi giorni dopo (9 luglio), ecco un’altra notizia:
“Ci perviene a firma G. S, una lettera con la quale si lamenta l’equivoco della identificazione da parte di taluno della famosa Contessa del Viminale in una stimata gentildonna del mondo romano, ospite ancor oggi della nostra città.
Teniamo ancora una volta a dichiarare che restiamo assolutamente estranei a tutte le supposizioni e le ipotesi azzardate in proposito dal pubblico, che sono evidentemente il prodotto della appassionata fantasia popolare”.
Certamente queste due brevi notazioni non potrebbero colpire più di tanto se dalla data del giornale non fosse subito stato chiaro che erano proprio i giorni di quel delitto di cui più tardi Benito Mussolini si sarebbe assunto la responsabilità “politica, morale e storica”: il rapimento di Matteotti, a cui seguì, come poi si saprà, il suo assassinio, avvenne, infatti, il 10 giugno, ma il corpo sarà ritrovato solo il 16 agosto.
Degli avvenimenti che accaddero tra queste due date è ormai testimone la storia, mentre quest’ultima nulla riporta, se non in qualche articolo di giornale, qua e là, riguardo a questa “Contessa del Viminale”, segnalata anche a Messina. E appunto sui giornali ne abbiamo cercato le tracce.
Stabilire chi fosse, come si vedrà, non è facile, ma l’epiteto che accompagna questa presunta sua nobiltà suggerisce la frequentazione di un edificio, il Viminale, che già da molto tempo ospitava il Ministero degli Interni, di cui era titolare lo stesso Mussolini, che però il 17 giugno 1924, quindi in piena bufera per via delle indagini in corso sul caso Matteotti, aveva lasciato la carica a Luigi Federzoni.
Da qui a pensare che la “contessa”, forse di passaggio nella nostra città, fosse legata a qualche gerarca fascista e che ricoprisse qualche ruolo non ufficiale il passo è breve.
Qualche tempo dopo di lei ci parla un bozzetto teatrale di Carlo Tresca (oppositore del fascismo e sindacalista emigrato negli Stati Uniti nel 1904 e qui ucciso nel 1943 da un sicario della mafia), dal titolo “L’attentato a Mussolini ovvero il segreto di Pulcinella”, che fu rappresentato per la prima volta presso la Music Hall di New Haven nella serata del 30 gennaio 1926 e poi dato alle stampe nello stesso anno dall’Editrice "Il Martello" di New York. È questo un esempio di teatro anarchico che ha per soggetto l’attentato a Mussolini, a Roma, nel novembre del 1925, dell’ex onorevole Tito Zaniboni. In quest’operetta (la cui rappresentazione, per via dei gesti di un buffo Mussolini, fece ridere i giornalisti americani e gli stessi ufficiali di polizia presenti, che pur non comprendevano alla lettera quello che si recitava), ecco comparire, appunto, come personaggio, la “Contessa”, che così ha finalmente un nome (vero o falso che sia), quello di Noli da Costa, in veste di amante sia di Farinacci (come si sa, sostenitore di una visione intransigente e radicale del fascismo) che di Zaniboni.
Secondo l’autore del libro “I tentacoli dell’OVRA. Agenti, collaboratori e vittime della polizia fascista” (Torino 1999), la contessa sarebbe stata in rapporti intimi oltre che con Zaniboni anche con lo stesso Mussolini. Ma anche Emilio De Bono, quadrumviro della marcia su Roma, nonché comandante della Milizia fascista, che era a capo della polizia nelle prime indagini sul rapimento Matteotti, ma poi sollevato dalla carica, sarebbe stato circuito dalla “Contessa del Viminale”, da altri identificata in una certa contessa Amari, che girava con due cani pechinesi e un accompagnatore, la cui relazione, vista l’età del generale, era oggetto di pettegolezzi: così scrive Antonio Portobello (Il delitto Matteotti, https://antonioportobello.wordpress.com).
Fin qui, cercando di identificare l’oggetto anonimo degli articoletti della “Sera”, ci siamo imbattuti, prima, in una nobildonna di nome Noli da Costa, poi ancora in una contessa Amari.
Ma tornando al delitto Matteotti, che fece vacillare il fascismo, naturalmente quelli successivi al rapimento furono giorni di fuoco per i giornali che si occupavano degli eventi che precedettero il ritrovamento del corpo di Matteotti il successivo 16 agosto: mentre le indagini erano in corso, le notizie si susseguivano e in alcune di esse si ritrova ancora questa contessa.
Così scriveva, infatti, il 3 luglio 1924 il quotidiano “Il Sereno”, in un articolo riportato pure quasi integralmente, citandone la fonte, nello stesso giorno, dal “Corriere della Sera”, in cui ritroviamo, assieme ai nomi di coloro che risultarono poi artefici del rapimento e dell’uccisione del deputato socialista, l’interrogatorio di un’elegante donna molto nota negli ambienti mondani di Roma: il titolo del pezzo è, ancora una volta, “La Contessa del Viminale”:
Copertina di un libro francese su Mata Hari |
“Non è il titolo di un film, ma è quello che riguarda una nuova Mata-Hari, la quale fino a ieri ha potuto dominare nettamente negli uffici del Viminale e specialmente nella direzione generale di P. S. Non sappiamo se la magistratura, incaricata di scoprire i mandanti dell’assassinio dell’on. Matteotti, conosce la storia fosca di questa femmina, che in un decennio ha saputo svolgere, in tutti gli ambienti politici, un’azione varia.
Certamente questa donna, che ha avuto protezioni altissime, deve conoscere molti retroscena di ciò che si è svolto in questi ultimi tempi al Viminale.
Non vi è stato processo di corruzione, di truffatori di banche, di delitti in cui il suo nome non sia comparso fugacemente. Durante l’imperio di Cesare Rossi e del gen. De Bono, questa donna ha saputo imporre la sua volontà nettamente.
Esiste in Questura un dossier gravissimo a carico di questa strana donna per l’opera prestata durante la guerra per... esonerare i combattenti pavidi. Le relazioni e le protezioni di questa donna sono innumerevoli: dalla spia al delinquente volgare, dal biscazziere al generale, dalla cocotte di infimo ordine alla dama eletta. Ogni amicizia era per lei un’arma; e si deve a questa moderna “Mata Hari” – a tempo però faceva la spia a danno di insospettabili ufficiali dei carabinieri e di ufficiali della milizia! – se la banda dei biscazzieri riuscì ad imporre un progetto così ignobile da suscitare la nausea e lo sdegno generale.
Questa femmina, chiamata “la contessa del Viminale”, era amica di Cesare Rossi, di Dumini, di Volpi e di altre personalità che ancora godono fiducia.
Anche lei sosteneva nei corridoi del Viminale che l’opposizione doveva essere soppressa: anche lei affermava che gli unitari rappresentavano un pruno nell’occhio del partito fascista.
Apparteneva alla banda del Brecche ed era amica di alti personaggi del fascismo; come va che il magistrato inquirente non ha chiesto informazioni su questa donna che vantava nei salotti di possedere il cuore, sempre tenero, di un personaggio non del tutto oggi liquidato? La banda del Brecche ancora non è stata dispersa. Troppi personaggi, colpevoli moralmente e indirettamente dell’assassinio dell’on. Matteotti, ancora girano in automobile e frequentano il Tabarin, il Bragaglia e la Casina Valadier. Fino a quando?”.
Ma chi erano Cesare Rossi, Amerigo Dumini e Albino Volpi, tutti coinvolti nel caso Matteotti?
Rossi era il capo dell’Ufficio stampa del Presidente del Consiglio; Amerigo Dumini un ex-ardito, noto squadrista fiorentino e uomo di fiducia di Rossi; Albino Volpi, un falegname pluripregiudicato, presidente della sezione arditi fascisti di Milano, molto stimato dallo stesso Mussolini per la sua assoluta fedeltà e per la sua mancanza di scrupoli nella lotta contro i sovversivi.
E la cosiddetta “banda del Brecche”?
Comprendeva, appunto, gli elementi sunnominati che spesso di riunivano presso il ristorante “Brecche”.
La contessa, ancora una volta qui anonima, sembra far parte dunque di qualcosa di molto grosso, addirittura, s’ipotizza, coinvolta nell’affaire Matteotti!
Un paio di giorni dopo, il 5 luglio, così scriveva un altro quotidiano, “La Giustizia” nel brano di un articolo che reca al suo interno il titoletto “La contessa parla”:
“A proposito di De Bono vi abbiamo segnalato una conferma... autorevole dei suoi rapporti di conoscenza con la ormai leggendaria contessa del Viminale. Le indiscrezioni che sono state fatte dai giornali di questa donna hanno fatto sì che il suo nome corre sulle bocche di tutti. Tutta Roma sa a chi si allude col nome romanzesco di Contessa del Viminale, tantoché un redattore del “Giornale d’Italia” si è recato a intervistarla.
La Contessa abita in un elegante appartamento di uno dei più sontuosi palazzi al via Nazionale. Nacque in Toscana da genitori appartenenti a quella aristocrazia, maritata ad un valoroso e probo generale dal quale però vive legalmente separata. Il salotto della Contessa era, prima delle rivelazioni di questi ultimi giorni, molto frequentato da personalità mondane e politiche. Ora il salotto è deserto. Secondo un giornale meridiano non si aprirà più a quell'alta personalità fascista ancora in carica di cui si parla tanto e che tutti possono facilmente individuare. La casa è piantonata da agenti di P. S. La signora si trattenne col giornalista sul modo con cui ha conosciuto il generale De Bono.
Si trattava di recuperare una grossa somma di denaro. Per questo si ebbe a rivolgere al generale a cui fu presentata da un comune amico.
- In un anno e mezzo - ha soggiunto - non più di quattro o cinque volte sono stata a Palazzo Viminale e soltanto sempre per essere ricevuta dal Generale De Bono che si interessava di me. Non vi ho conosciuto nessun altro; non ho mal visto né il comm. Rossi né il comm. Moroni appartenenti al gabinetto dell’on. Finzi. Se ritornai dal generale De Bono, oltreché per il recupero dei miei denari fu anche per colpa del mio chauffeur, Raffaele Conti, che dovette fuggire all’estero per essere implicato nello scandalo degli chèques falsi. In quell'occasione mi trovai in forte contrasto col delegato Neri, ma ripeto, le mie visite al Viminale sono state rarissime”.
E questa essendo la verità come spiega - ha chiesto il giornalista - le asserzioni dei giornali apparentemente minute?
- E che le posso dire io?
-Hanno anche detto che io mi abbandonavo, ad orge in certi luoghi di convegno notturno. Ebbene in quei luoghi io non sono mai stata, mai una volta sola. La mia vita è corretta, forse subisco la disgrazia dell'omonimia con due giovani isolane che sono, pare, allegre e note. Riconosco però con l'abituale sincerità che la leggenda dei miei rapporti amichevoli col generale De Bono era già diffusa, tanto che effettivamente alcuni sconosciuti biscazzieri vennero da me per raccomandarmi le loro richieste. Inutile aggiungere che furono messi alla porta. Non io ero donna da accettare compensi e neppure trattative del genere. Del resto c’è qualche signora titolata che veramente - a quanto potei constatare - capitava spesso al Viminale; forse sono stata confusa con lei”.
Conclusione, almeno secondo essa recisamente afferma, la contessa che abita in via Nazionale non è quella che frequentava la Direziona Centrale di P. S.
Se ce n’è un'altra la cerchino”.
Anche in questo caso, come si vede, nessun nome è attribuito alla titolata (che però a Roma tutti sapevano chi fosse!), ma si dà l’indirizzo e si ammettono, da parte dell’intervistata, i suoi buoni rapporti con De Bono. Secondo l’intervistata, poi, c’è un’altra donna che frequentava assai più assiduamente di lei il Viminale.
Vien da dire: quante donne! Oppure una sola? Ma quale?
Giuseppe Pardini, professore di storia contemporanea all’Università del Molise, in un’intervista, a cura di Francesco Algisi (pubblicata su archiviostorico.info il 10 aprile 2010), riguardante i rapporti tra Farinacci e Mario Giampaoli, segretario federale dal 1923 al 1928 del fascio di Milano, introduce un’altra identità per questa misteriosa contessa, proprio trattando della sua uccisione avvenuta un paio d’anni dopo il delitto Matteotti. Su di essa si sofferma dicendo:
“L’assassinio della signora Erminia Ferrari (già moglie di un importante industriale cinematografico), detta anche la “contessa del Viminale”, avvenuto a Milano nel febbraio 1926, è ancora oggi un mistero. Le indagini di polizia vennero effettuate solo parzialmente e si considerarono esaurite allorquando presero la direzione del figlio Renzo Pettine, il quale venne accusato di omicidio e rinchiuso subito in manicomio criminale. Eppure quell’assassinio poteva avere tutti i contorni di un delitto politico, perché si diceva che la donna fosse stata a giorno di numerosi retroscena e che avesse annoverato tra i suoi amanti personalità di spicco del fascismo, come Cesare Rossi e lo stesso Farinacci. Certo era che la donna aveva cercato di contattare sino all’ultimo proprio l’allora segretario del PNF, Farinacci, per fargli avere importante documentazione. A quei documenti sembrava fossero interessati anche Giampaoli e lo stesso Arnaldo Mussolini, che la polizia politica aveva persino individuato come la persona che aveva visto per ultimo la Ferrari ancora in vita. Ma certo quel delitto rimane ancora oggi uno dei - tanti - gialli irrisolti della politica italiana”.
Per la cronaca, Renzo Pettine, figlio del commendator Giovanni (un cineasta ben noto all’epoca del cinema muto), fu condannato per il suo matricidio, di cui si occuparono all’epoca giornalisti, storici, criminologi e scrittori a 15 anni.
Greta Garbo in un film su Mata Hari |
Ma non mancano ritratti anche molto diversi del matricida: il giovane “viveva a Milano da gran signore”; gli piaceva girare in camicia nera con pistola e pugnale; non praticava alcuna professione. Fatto sta che, dopo quattro anni di detenzione, Renzo Pettine fu scarcerato e si rifece una vita “normale”, fino alla morte avvenuta nel 1966.
In quest’ultimo articolo non si fa affatto cenno della Ferrara come della “Contessa del Viminale”, ma la concomitanza con quanto dice precedentemente Pardini e gli elementi a discolpa del figlio matricida emersi nel processo ne fanno un ritratto certamente plausibile di quella “femmina” (come la definisce “Il Sereno” al tempo del delitto Matteotti, pur senza perfettamente individuarne il nome), che, secondo tante altre testimonianze, si aggirava nelle stanze del potere del duce in un periodo per lui così difficile. Il fatto che quasi sempre se ne parli anonimamente e in qualche caso attribuendole identità diverse (Noli da Costa, Erminia Ferrari o Ferrara), concordanti, comunque, sulla sua avvenenza e, in diversi casi, sulle sue frequentazioni, anche se da qualcuna di queste “dame” smentite, c’induce a pensare che non un’unica “Contessa” fosse solita frequentare quell’edificio che avrebbe dovuto simboleggiare l’emblema dell’ordine e della sicurezza e che invece ben si prestò, come la storia ha ormai dimostrato, alle nefandezze e sconcezze di un regime fascista allora solo agli albori.
Felice Irrera