sabato 5 dicembre 2015

ACCADE ALL'UNIVERSITÀ

Graduatorie per docenze accademiche prive di punteggio; solo opinioni. E candidati dimenticati

Andate a dare un'occhiata - ci suggeriscono – e vi renderete conto voi stessi. All'università di Messina, graduatorie senza punteggi, basate su opinioni e giudizi discrezionali. E gli occhi hanno confermato ciò che avevamo udito. Verba volant, ma scripta manent ci sarebbe da dire.
Si tratta della selezione pubblica per titoli di contratti a titolo oneroso ex art. 23 L.240/2010 per insegnamenti scoperti, per lo più della durata di alcune decine d'ore. “Onerosi” si fa per dire perché prevedono una retribuzione di 40 euro lorde per ora, che al netto si dimezzano: insomma docenze universitarie pagate meno di quelle in un corso di recupero nelle scuole. Quindi nessuna prospettiva d'arricchimento dietro l'angolo, se non quella di rimpinguare il proprio curriculum con qualche “stellina” in più.
I verbali relativi pubblicati on line dalle commissioni giudicatrici si riferiscono al momento, per la maggior parte, ad insegnamenti impartiti al DICAM (Dipartimento di Civiltà Antiche e Moderne): almeno cinque, di quelli da noi presi in visione, risultano completamenti privi di valutazioni in termini di punteggio. In due, nessuno dei candidati viene ritenuto idoneo e negli altri tre invece si stila una graduatoria in termini di primi e secondi classificati senza attribuire loro nessun punteggio. Com'è possibile? Se lo chiede addirittura un membro stesso della commissioni che fa mettere in coda al verbale la seguente dichiarazione: il commissario “ritiene doveroso di aggiungere al verbale che si dissocia dalle decisioni della commissione in quanto la mancata assegnazione del punteggio non consente di rendere trasparenti gli esiti della procedura di giudizio e presentare un quadro che sia un insieme equo ed obiettivo della posizione di ogni singolo candidato”
Siamo alla frutta. Si agisce in modo del tutto discutibile e lo si mette pure a verbale. Sicuramente il commissario lo avrà fatto per tutelarsi dagli inevitabili ricorsi e per una questione di decoro professionale; ma il dipartimento, l'università, come possono permettersi di affermare pubblicamente e tranquillamente: “abbiamo fatto le cose alla carlona”?
E' vero, la commissione giudicatrice implicata ha stilato un giudizio articolato sui curriculum vitae presentati dei candidati, ma in termini discorsivi e soggettivi da fare venire i brividi. Eppure l'art. 4 del bando era chiaro: “costituiscono, in ogni caso, titoli da valutare ai fini della selezione, purché pertinenti all'attività da svolgere: (in ordine) attività didattica già maturata in ambito accademico, titoli di studio e professionali, eventuali pubblicazioni”
Nei verbali con la dichiarazione del “dissociato” (sono ben tre) la commissione, prima di iniziare l'esamina dei titoli prodotti, dichiara di prendere atto della proposta del commissario di adottare un punteggio, come se fosse un optional, e poi prosegue per la sua strada…, inoltrandosi nei meandri dei giudizi sui percorsi di ricerca dei candidati e sulla valutazione comparativa di decine di pubblicazioni, arrivando nello spazio di una mezz'oretta a leggersi le opere prodotte, a discuterne e a scriverne un giudizio. “Questo secondo noi è più bravo questo meno”: al diavolo i punti, gli anni di docenza universitaria, i titoli. Le griglie di valutazione andranno bene per la scuola, dove ne viene richiesta una ad ogni passo, prossima anche quella per dare all'alunno il permesso per andare in bagno. All'università prevale invece il “buon senso”: cosa c'è di meglio d'un bel giudizio, come quello che si metteva una volta a scuola nel foglio protocollo, dietro, per i temi in classe?
Un'università “vecchio stile”, si dirà... Intanto mentre finiamo di scrivere ci giunge la notizia che “quelle” graduatorie hanno un altro tratto caratteristico: sono prive del nome di qualche candidato che, pur avendo in mano la ricevuta della PEC (Posta Elettronica Certificata) contenente la domanda inviata, non si ritrova neanche citato nei verbali. Sarà vero? Si tratterebbe della famigerata ciliegina sulla torta.

Edoardo Mercalli

articolo pubblicato su "Centonove" del 3 dicembre 2015

sabato 3 ottobre 2015

LA PIANA SPIEGA I MOTIVI DELLA “RINUNZIA”

Lo reazione ragionata di un cittadino molto poco convinto dalla conferenza stampa di addio del vescovo della sua città
E così il pastore ha lasciato il suo gregge. L’arcivescovo di Messina ha annunciato il 24 settembre, nel corso dell’Assemblea del clero, le sue dimissioni (poi confermate nella conferenza stampa del 26), ufficialmente per motivi di salute (ai sensi del comma 2 del canone 401 del Codice di diritto canonico, che prevede come “il Vescovo diocesano che per infermità o altra grave causa risultasse meno idoneo all’adempimento del suo ufficio, è vivamente invitato a presentare la rinuncia all’ufficio”). Davvero strano che i poteri forti cittadini, rappresentati soprattutto da certa stampa, siano stati colti di sorpresa come un fulmine a ciel sereno: possibile che non si fossero accorti davvero che qualcosa non andava nella conduzione della Diocesi? Qualcuno ha pensato, forse per giustificarsi, di mandare in onda scorci dell’intervista al predecessore di La Piana, Giovanni Marra, che ha dichiarato di averlo incontrato la settimana precedente al San Tommaso e che nulla lasciava presagire questa decisione, dovuta probabilmente a “malessere fisico e forse morale”. 

E pensare che La Piana nella sua conferenza stampa se l’è presa proprio con la stampa (però solo quella on-line), chiamata “ignorante e presuntuosa”, “costruttrice di falsità e di menzogne”, fatta di “raccoglitori e spargitori di fango”. Proprio quella stampa sul web che più volte ha messo in rilievo le sue continue beghe con i confratelli, i suoi forti scontri verbali con essi, il suo comportamento dittatoriale, oltre a certi lati oscuri dell’amministrazione: in particolare, alcune testate locali hanno riportato indiscrezioni relative alle condizioni economiche dissestate dell’Arcivescovato, con un buco che sarebbe milionario. Rumors, voci non confermate e ipotesi che non hanno mancato e non mancano ancora di provocare lo scompiglio nel mondo ecclesiastico locale.
Ultimamente, ad esempio, una serie di articoli pubblicati su Linkiesta.it aveva messo in luce il caso di Tirreno Ambiente che ha portato all’arresto di Salvatore Bucolo, sindaco di Mazzarrà Sant’Andrea, e ha costretto alle dimissioni, pur se non indagato, don Giuseppe Brancato, capo della Caritas messinese; mentre non sembra un caso che Antonia De Domenico, attuale presidente di Tirreno Ambiente, sia sorella di Francesco De Domenico, presidente della Banca Antonello da Messina, un credito cooperativo tra i cui soci c’è pure, dal 2002, proprio la diocesi. Indizi, certo, ma siccome altri ce ne sono o c’è una congiura (magari massonica, chissà!) oppure… Qui non si tratta, come La Piana ha detto, di “scambiare lucciole per lanterne” perché occorrerebbe che in una Chiesa che vuole veramente essere maestra e soprattutto “povera”, come vuole Papa Francesco, non ci fossero nemmeno le lucciole.
E a proposito di bilanci, è risultata piuttosto semplicistica l’affermazione da parte del presule che in tutte le famiglie ci sono “momenti di crisi”, ma che parlare di “ammanchi” è fuori luogo. Ci verrebbe da chiedergli se proprio per sanare un bilancio dissestato sia scattata da diverso tempo da parte della Diocesi la locale “spending review” che, come altrove abbiamo scritto, ha portato non solo al ritardato pagamento degli stipendi ai docenti, ma poi alla chiusura pratica dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Santa Maria della Lettera” di Messina (con l’annessa biblioteca rimodernata da poco, con un lavoro encomiabile, da un laico, che, posto che mai fosse stato assunto, è stato ovviamente licenziato); e all’incameramento da parte della Curia di una somma da parte dei Rogazionisti in cambio della vergognosa chiusura della “Casa del clero”.
Il prelato ha insistito molto, dal canto suo, sul fatto che la sua non è stata una “rinunzia”, ma “la grazia di essere sollevato dal suo incarico”, avanzata per lettera al Santo Padre addirittura il 16 maggio; e non una “rimozione”, cioè quella in base alla quale viene inviato dalla Santa Sede un Visitatore Apostolico, per verificare se i disordini e le varie problematiche segnalate nella diocesi sono vere o false. In sostanza, se ne va - ha detto con voce spezzata e tremante - solo perché il suo fisico, per la fragilità dell’attuale condizione, non ce la fa più a reggere l’impegnativa missione alla quale era stato chiamato da Benedetto XVI nel momento della sua nomina a Messina. Ha aggiunto che da alcuni anni cercava di resistere, incoraggiato in ciò da chi gli viveva accanto, senza curarsi del proprio fisico, rinunziando ad analisi ed esami ed anche a periodi di riposo di cui avrebbe potuto usufruire facilmente accettando gli inviti a viaggiare che gli pervenivano da varie parti del mondo: tutto solo per “servire” anima e corpo questa Diocesi, ormai troppo grande e pesante per lui, per “paura” di lasciare la comunità. 
 
Se questa è la vera motivazione delle dimissioni, accettate a Roma il 7 settembre quando ha detto di esser stato lì convocato (e non una pressione, ai fini di un’uscita soft, esercitata dall’alto su di lui in seguito all’ampio dossier di lamentele accumulatosi in Vaticano sul suo operato ad opera di un’ampia parte della chiesa locale), una colpa, comunque, La Piana ce l’ha di sicuro ed è quella di aver atteso troppo (lui dice “anni”) senza curarsi del “progressivo calo” della tenuta fisica della sua persona, di questo suo male oscuro, fisico o di spirito che sia, che gli impedisce, per esempio, di “presenziare alle processioni (basti ricordare le polemiche sul fatto che nel giorno della Vara egli abbia impartito la benedizione e dato il suo messaggio dall’alto del Palazzo Arcivescovile, prima della “girata”) e, più in generale, di reggere il peso di una giornata fitta d’impegni.
 
Ha dimostrato di non aver compreso, se non molto tardi, di scaricare così i suoi problemi sulla diocesi, ridotta dal suo stesso operato, ondivago e incapace di sostenere il suo ruolo e di indicare una rotta, ad uno scontro continuo tra fazioni. Gli si può, insomma, rimproverare di non aver tratto quando doveva, molto prima, le stesse conclusioni che gli servono ora per giustificarsi: allora sì che avrebbe dimostrato con “senso di responsabilità”, onestà e grande amore per la Chiesa.
  E quanto alla denunzia di una società caratterizzata da menzogna, arrivismo, ricerca del proprio interesse, corruzione, è proprio sicuro Monsignore che dentro di essa ci siano solo i giornalisti?

Felice Irrera

Se La Piana… non appiana

  [servizio pubblicato per "Centonove" del 24 settembre, 2015]

L’arcivescovo sopprime la “Casa del clero” e chiude l’Istituto Superiore di Scienze religiose “S. Maria della lettera”. Da giovane prete salesiano era molto amato, ora è sempre più contestato da clero e laici della diocesi, che lo “accusano” di perseverare nei suoi errori e scoraggiare qualunque tipo di iniziativa. Ecco perché

MESSINA. Era molto amato, quando, da giovane prete salesiano, don Lillo bene interpretava il carisma di don Bosco stando vicino ai giovani, organizzando, partecipando, animando le attività del movimento giovanile salesiano, dimostrando una forte carica d’umanità. Oggi quella stessa persona, mons. Calogero La Piana, nativo della provincia di Caltanissetta, meccanico tornitore e poi diplomato allo Scientifico, arcivescovo di Messina dal 18 novembre 2006 (le male lingue dicono per sponsorizzazione del salesiano allora segretario di Stato, Tarcisio Bertone), sembra molto cambiata, come dimostrano le contestazioni alle quali è sottoposto ormai da tempo da tanta parte del clero e di fedeli laici su varie questioni.
Prendiamo, per esempio, la polemica sulla soppressione della “Casa del clero”, voluta da mons. Angelo Paino per i sacerdoti anziani invalidi, conclusasi con l’incameramento, in verità assai poco redditizio, di una somma da parte della Curia (v. riquadro). O l’ultima, quella della liquidazione di “S. Maria della Lettera”, Istituto Superiore di Scienze religiose collegato alla facoltà teologica di Sicilia con una convenzione del 15 novembre 2006, auspice l’allora arcivescovo di Messina mons. Giovanni Marra. Non si può fare a meno di pensare, in questo caso, senza voler cercare il pelo nell’uovo, che chi, come La Piana, ha studiato, si è laureato e ha poi lavorato per molti anni da animatore liturgico e spirituale e da docente all’Istituto Teologico “San Tommaso” (aggregato alla Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma), che ha pure diretto per dieci anni, ha considerato, assai poco cristianamente, un grave torto quello della nascita di tale nuova “concorrenza”, per di più pochi giorni prima del suo insediamento episcopale.
E allora, sempre poco cristianamente, sono cominciate subito le ripicche (come il ritardato pagamento degli stipendi dei docenti); la propaganda volutamente negativa; i boicottaggi nelle iscrizioni al “S. Maria della Lettera”, che proseguiva, negli stessi locali dei Gesuiti i quali all’ “Ignatianum” si erano occupati della formazione religiosa dei laici, mirata anche all’insegnamento della religione cattolica nelle scuole; la chiusura della biblioteca con il licenziamento dell’addetto laico che ne aveva curato l’ordinamento e l’informatizzazione. Eppure, massicce erano state le adesioni da parte dei laici, tanto che nel primo quadriennio si erano avuti mediamente circa trecento iscritti.
Ma tale successo fu vissuto da sempre dai Salesiani come un elemento di disturbo al loro quoziente di alunnato, per cui ecco l’arcivescovo salesiano, che aveva pur sempre contrastato tale successo con una costante opposizione formale e sostanziale, continuare a scoraggiare ogni iniziativa e attività del “S. Maria della Lettera”, mortificare il servizio prestato in essa da parte dei docenti, fino alla sua attuale ultima determinazione, quella di spogliare, “motu proprio”, l’Istituto della sua dotazione economica e di sospendere le iscrizioni per l’anno accademico 2015-16, dichiarando così, di fatto, la sua soppressione e provocando la sacrosanta reazione di laici e clero che stanno preparando una lettera con la richiesta di ispezione alla diocesi, indirizzata al Papa. Perché tutto ciò? Non è questo che l’ultimo tassello della delusione provata dai fedeli messinesi riguardo l’attesa che La Piana, come presule di Messina, città che ben conosceva, parlasse, gridasse, soprattutto agisse di fronte al degrado della città risvegliando le coscienze dei responsabili civili e politici, difendendo i diritti dei bisognosi, alleviando le sofferenze degli emarginati: l’attesa è, invece, rimasta tale e gli interventi di monsignore si sono limitati soltanto a stereotipati interventi verbali.
Eppure, “santità, comunione e servizio” erano state le priorità da lui subito indicate all’arrivo a Messina Chi regna religiosamente su 500.000 fedeli e 250 parrocchie può davvero far molto, con umiltà di pastore che serve la città e non se ne serve come viene rimproverato a tanti politici locali. Magari cominciando daccapo e facendo dimenticare episodi che non gli fanno onore, come il tentativo di speculazione edilizia, aspramente criticato da molti messinesi, a proposito delle aree attigue al Santuario di Montalto; o l’autorizzazione nel 2009 concessa alla Fondazione “Bonino-Pulejo” di distribuire proprio in cattedrale (con evidente commistione di sacro e profano) borse di studio a giovani meritevoli; o la mancata spiegazione ai tanti fedeli che lo richiedevano per lettera, nel 2012, del modo in cui erano stati distribuiti i fondi destinati agli alluvionati di Giampilieri (due milioni e mezzo di euro).
Chissà che adesso l’arcivescovo non voglia per esempio, cominciare a riscattarsi, dopo il forte richiamo di S.S. papa Francesco, ottemperando, magari in prima persona e poi ordinandolo alle parrocchie cittadine, all’invito di accogliere una famiglia dei tanti migranti che approdano anche a Messina. Non dichiarò lui stesso alla “Gazzetta del Sud” il 13 gennaio 2008: “Quello degli immigrati è uno dei temi che seguo più da vicino”?

24/09/2015
Felice Irrera


LA STORIA DELLA “CASA DEL CLERO”

11.01.1950: stipula della convenzione preliminare fra p. Teodoro Tusino (Superiore Generale pro tempore dei PP. Rogazionisti) e Mons. Angelo Paino.
20.06.1959: in occasione del 50° di episcopato di Mons. Angelo Paino, il Presule, “mosso dal paterno affetto ai sacerdoti”, dinanzi all’episcopato siculo pone la prima pietra “dell’erigenda Casa per «Sacerdoti anziani invalidi”.
30.10.1971: viene stipulata una nuova convenzione fra la Diocesi peloritana e i PP. Rogazionisti, dalla quale si evince la non ottemperanza degli impegni precedentemente assunti da parte dei religiosi. Nella suddetta intesa, infatti, si prende atto che: “per quanto attiene invece (a differenza della Diocesi) agli obblighi assunti dai Padri Rogazionisti, relativamente all’accoglimento e all’assistenza dei Sacerdoti, una serie di circostanze sfavorevoli ne ha impedito finora l’adempimento”.  Con la stessa intesa si decide la realizzazione - all’interno del Pio Ospizio “Collereale” -  del “Reparto canonico di Francia”; contemporaneamente, “i PP. Rogazionisti si impegnano a pagare la retta fissata dai regolamenti della Casa di Ospitalità dei Sacerdoti ivi ospitati”.
07.06.2001: integrazione alla convenzione del 1971 fra P. Mario Lucarelli (Superiore dei pp. Rogazionisti) e Mons. Giovanni Marra, Arcivescovo di Messina- Lipari- S. Lucia del Mela. Il suddetto accordo prevede che i sacerdoti versino un contributo di 500.000 lire fino al 2003 e i 2/3 della pensione a partire dal 2004, mentre i PP. Rogazionisti versino “la restante parte della retta prevista, che alla data della presente, è di 2.600.000 lire”.
08.03.2014: estinzione della convenzione ad opera dell’Arcivescovo Calogero La Piana attraverso una transazione con la quale il suddetto Ordinario diocesano accetta novecentoventimila euro in 28 rate e chiude la “partita” finanziaria con i PP. Rogazionisti, sopprimendo, di fatto, la “Casa del Clero”. 

F.I

LA RICHIESTA D’ISPEZIONE ALL’ARCIDIOCESI DI MESSINA
La visita, avvenuta nel gennaio del 2014 del Gruppo esterno di valutazione dell’AVEPRO (Agenzia della Santa Sede per la Valutazione e la Promozione della Qualità delle Università e Facoltà Ecclesiastiche) al “S. Maria della Lettera” ha evidenziato, come risulta dal rapporto finale da noi consultato e certamente a conoscenza dell’arcivescovo, un rapporto di autovalutazione accurato nell’analisi e rispondente alla realtà, con la disponibilità di aule ampie e attrezzate, di una direzione e segreteria idonee, di un ben organizzato sito web, di un’aula multimediale attrezzata e moderna, di una biblioteca organizzata, informatizzata e di facile consultazione. Perché allora la “persecuzione” è proseguita?
Ecco che si spiega la molto opportuna preparazione in corso di una lettera, corredata di numerose firme, rivolta al Papa, da parte di un folto gruppo di religiosi e laici della Diocesi messinese, che, dopo aver elencato minuziosamente le “malefatte” del presule in carica riguardo il “S. Maria della Lettera”, chiedono un’ispezione, al fine di verificare se la soppressione dell’ISSR di Messina, messa in atto dall’arcivescovo mons. Calogero La Piana sia connotata, come molti ritengono, da meri condizionamenti o interessi di parte, contrari al reale interesse della Diocesi.
24/9/2015

F.I.


domenica 13 settembre 2015

Senza retorica. Breve storia del problema degli immigrati.

A lungo andare noi occidentali dovremo fare i conti col nostro passato

 

Migranti, clandestini, rifugiati: non si parla d’altro nei giornali, nei telegiornali, nei mille talk-show che popolano la nostra vita. Ed è ormai da diversi anni che, con qualche pausa riservata alle “egregie opere” di Berlusconi, Monti o Renzi, è così. Inizialmente, i barconi provenienti dalla Libia carichi di questa povera gente, arrivavano più o meno vicini a Lampedusa; poi c’è stata la missione umanitaria dell’Italia che andava a raccoglierli, man mano che i barconi stessi diventavano sempre più fatiscenti, al largo delle coste libiche; più tardi l’aiuto, ma solo quello delle navi, non dell’accoglienza in Paesi diversi dal nostro, di altre navi europee. Era il massimo cui l’Europa dei banchieri, trincerata dietro l’accordo di Dublino che stabiliva come l’accoglienza spettasse al Paese dove essi approdavano, voleva dare, aggiungendovi magari un po’ di milioni di euro per i campi d’accoglienza da allestire, naturalmente, in Italia.

 Ed ecco venir fuori, allora, il genio dei nostri governanti e dei malavitosi di casa nostra, spesso in combutta con i primi: mentre gli uni facevano in modo, con una blanda sorveglianza ai campi e un’identificazione (prevista dai trattati europei) che tardava per mesi, di permettere ai migranti di fuggire verso Paesi più ricchi del nostro e dove quindi le possibilità di lavoro erano maggiori, eliminando così il problema di mantenerli; gli altri s’insinuavano nella gestione dei campi stessi, garantendosi lauti guadagni con la connivenza dei primi (Mineo è solo il caso più eclatante, come dimostrano le stesse intercettazioni di “Mafia Capitale”, dove i malavitosi affermano che l’accoglienza-migranti è ormai l’affare più lucroso).

A questo punto, l’Europa improvvisamente si sveglia. Perché? Solo in quanto si apre un’altra strada da parte dei trafficanti di uomini, data la difficoltà di trovare sempre nuovi barconi e l’endemica guerra in Libia: quella dei Balcani, dove una folla di disperati pone in crisi interi Paesi. Mentre alcuni di questi innalzano muri o in ogni modo pongono ostacoli all’accoglienza (Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia) e altri rifiutano, comunque, le quote di accoglienza finalmente proposte da Bruxelles (Regno Unito e Danimarca), la teutonica Merkel si guadagna il consenso del mondo (rimasto intanto completamente inerte nella persona dell’inutile Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon) con l’astuta mossa di aprire l’accoglienza a centinaia di migliaia di persone, soprattutto siriani, più istruiti e che quindi, una volta inseriti e germanizzati, renderanno il Paese sempre più potente ed egemone in Europa! E ci sono pure gli Stati Uniti, disposti ad accogliere i Siriani, mentre alla frontiera messicana si spara sui disgraziati che tentano di entrare nel paese di Bengodi.
Da notare che il criterio dell’accoglienza resta, in ogni caso, sempre quello della provenienza da Paesi in guerra. Ma quali sono questi Paesi? Solo la Siria, l’Afghanistan e l’Iraq, dove gli occidentali hanno commesso errori madornali, destabilizzando tutta l’area? E quelli dell’Africa nera, che attraversano il deserto libico per fuggire, oltre che dalle endemiche guerriglie, dallo sfruttamento delle multinazionali che li ha affamati? No. Chi cerca di migliorare le proprie condizioni e di garantire un futuro a sé e ai propri figli non ha diritto e deve essere rimandato lì da dove è partito dopo aver lautamente pagato i trafficanti! L’Europa dimentica così il suo colonialismo di secoli e quindi le proprie responsabilità in questa situazione.
La divisione tra migranti a causa di guerre e migranti a causa di fame appare davvero assurda, se si vogliono davvero fare i conti con la storia. Ma crediamo che, a lungo andare, sarà quest’ultima a fare i conti con noi occidentali, il cui tenore di vita deriva anche dallo sfruttamento al quale per secoli i popoli africani sono stati sottoposti. Le colpe dei padri ricadono sui figli? Certamente: dai tempi del peccato originale.

Felice Irrera

venerdì 4 settembre 2015

La città delle "cricche"

Chiedere al potere
di riformare il potere ..
Che ingenuità!”
(G. BRUNO)

 Occorrerebbe davvero una “cricca” senza scrupoli per governare questa città ormai in piena balia degli elementi. “Nave senza nocchiero in gran tempesta” è senza più ombra di dubbio - e agli occhi di tutti - quella che fu la “civitas locupletissima” di Cicerone. Tendopoli abusive, buonismo a (buon) mercato, dichiarazioni e proclami di una classe politica alla deriva, ecco il panorama che s’affaccia dalla gran falce di Crono alla sommità dei rilievi peloritani. Ai due antipodi le rispettive Madonnine, dal porto e dal santuario di Dinnamare, sembrano guardarsi desolate - l’una immagine speculare dell’altra - senza tuttavia perdere la speranza, almeno per chi come il sottoscritto ci crede, nell’infinita misericordia del Redentore.
Una cricca occorrerebbe, e munita degli attrezzi del mestiere – intelligenza, autorevolezza, passione – destinati finalmente a soppiantare gli altri, di attrezzi – astuzia, autoritarismo, sfruttamento sistematico del territorio - che hanno letteralmente demolito a picconate la città risorta dalle rovine del Grande Sisma. Un rovesciamento di forma mentis in tal senso opererebbe per il ripristino non solo dei valori della legalità e del civismo, ma anche e soprattutto per la rivoluzione dell’aspetto fisico della città. Una città brutta, infatti, ispira disgusto e mancata cultura d’appartenenza; rifondarla dal punto di vista urbanistico recuperando, nel solco della memoria, i simboli vivi ed essenziali – il porto antico, gli spazi fieristici, i villaggi tanto per fare un esempio – significa esaltarne l’identità per troppo tempo sopita sotto le sabbie mobili dell’apatia.
Un’apatia per la quale non può funzionare la storiella-alibi dello scirocco che fiacca le volontà e deprime l’umore, utile soltanto a distribuire deleghe in bianco a una classe politica e dirigenziale di chiaro stampo delinquenziale. Chi delinque ai danni di Messina, beninteso, lo fa ai danni dei suoi abitanti. La classe elettrice è dunque responsabile, parimenti a quella degli eletti, del naufragio materiale, oltre che etico, d’una comunità che annaspa ormai alla ricerca di un refolo d’aria che le consenta di respirare sott’acqua. Commissioni ed omissioni s’addensano e confondono sullo sfondo dello Stretto che rese Messina porto franco e centro degli scambi mediterranei per secoli.
Benvenute allora, cricche di cittadini che avete il coraggio di aprire gli occhi sulla scena del crimine, liberate le vostre menti dalle pastoie dell’acquiescenza e dell’utilitarismo, riprendetevi la vostra città. Non abbiate timore delle chiacchiere di quanti vi assicurano che, tanto, nulla può cambiare. L’irredimibilità d’ogni popolo, specie di quello siciliano, nasce da comportamenti consolidati, paura delle critiche, noia del nuovo.
Ma la Sicilia, nel corso dei millenni, è rimasta pur sempre salda sulle proprie fondamenta e Messina, da parte sua, poggia ancora solidamente sulle robuste spalle di Colapesce. 

Giuseppe Ruggeri 

mercoledì 2 settembre 2015

MATTEO L’APOSTOLO ED ALTRI OMONIMI

San Matteo, apostolo ed evangelista, fu chiamato da Gesù ad essere uno dei dodici apostoli Era esattore delle tasse, un mestiere non certo amato (allora come ora) dal popolo: forse proprio per questo il Salvatore lo chiamò a sé.
 
Oggi ci sono due politici di nome Matteo che spopolano sul web e sui giornali: Matteo Renzi, il salvatore d’Italia, e Matteo Salvini, il castigatore dei migranti.
Anche loro, come l’apostolo non sono molto amati.
Il primo, oltre a snocciolare annunci cui non seguono fatti e fanfaronate ad ogni passo, comunica twittando, con ciò dimentico che la maggior parte del popolo italiano, soprattutto di una certa età, non sa nemmeno che cosa è il web (eppure, gli anziani votano; ma forse il presidente del Consiglio non li reputa importanti). Il suo “decisionismo”, poi, è diventato addirittura leggendario: se convoca le parti sociali su qualche problema, li ascolta per poi congedarli e stabilire ciò che già aveva risoluto di fare! Tipico il caso del decreto sulla cosiddetta “buona scuola”, che davvero tale non è, prevedendo una vera e propria “deportazione” di insegnanti precari (che il buon Matteo è stato costretto a immettere in ruolo da una sentenza della Corte di Giustizia europea) dalle loro famiglie, dai propri figli e, cosa ancora più grave per un cattolico professante come lui, senza dare la minima chance di poter rimanere vicino casa a coloro che assistono familiari disabili!

Ed eccoci a Matteo Salvini, colui che specula sui peggiori istinti dell’uomo, uno dei quali è certamente la paura del diverso, riuscendo così a conseguire i migliori risultati elettorali, ma facendo un pessimo servizio all’Uomo italiano, sì quello con la U maiuscola. Le sue magliette, con scritte che sarebbero da definire goliardiche se non fossero pericolose per una pacifica convivenza tra persone di etnie diverse, sono ormai oggetto di collezionismo sul web, dove anche lui come Renzi twitta continuamente proponendo, per risolvere il problema dei migranti, ricette da brivido (ricordate i cannoneggiamenti?), o che non tengono conto del contesto internazionale, come la proposta di non farli partire istituendo dei punti di raccolta in nord-Africa. Che bravo, Salvini! Chissà se qualche suo ascendente, immigrato poi in Svizzera o in Argentina, sarebbe stato contento di essere “attendato” sine die sulle rive del Po! Vero è che, in realtà, i vari governi italiani all’epoca succedutisi erano ben contenti di far emigrare gli Italiani, così come i governi dei Paesi africani da cui oggi provengono i migranti si sbarazzano volentieri di bocche da sfamare che testimoniano, come un tempo fu per i governi italiani incapaci di risolvere la questione meridionale, della loro inettitudine e corruzione.

Chissà che il Giubileo straordinario indetto da papa Francesco non faccia cambiare atteggiamento a questi due Matteo, inducendo, almeno, l’uno, a un minor numero di smargiassate, l’altro a pensare meno all’elettorato leghista e più ai problemi reali del Paese.
Così forse Gesù potrebbe prendersi anche loro.

Felice Irrera


martedì 1 settembre 2015

La lezione di Zveteremich. Studioso e maestro

Nel luglio di quest'anno è stato inaugurato a Messina un busto allo slavista Pietro Zveteremich e gli sono state dedicate iniziative culturali e artistiche. Riproponiamo questo articolo apparso nel primo numero de "La Cricca", scritto in occasione del ventesimo anniversario della morte

Geniale, poliedrico, antiaccademico, all'occasione beffardo, ironico... Questi sono alcuni degli aggettivi con cui è stato definito uno dei più grandi slavisti italiani di sempre, Pietro Antonio Zveteremich. Che proprio a Messina ha svolto tutta la sua attività di docenza universitaria. Sono trascorsi venti anni esatti da quando se n'è andato, nel sonno, la notte del 3 ottobre del 1992.

Zveteremich è entrato nella storia della slavistica per la traduzione, prima al mondo, de Il Dottor Zivago e per il ruolo svolto nella decisione della Feltrinelli di pubblicare quest'opera, nonostante le fortissime pressioni politiche in senso contrario. Ma non solo, Zveteremich all'inizio degli anni '70 si rese autore di una beffa editoriale che ha dell'incredibile: scrisse e pubblicò un romanzo scandalo, Le notti di Mosca, sotto pseudonimo, spacciandosi per uno scrittore russo del samizdat. Ci fu grande “rumore”, ma nessuno si accorse dell'inganno. Fu lo stesso Zveteremich, venti anni dopo, in una nuova edizione in italiano del romanzo a rivelare i retroscena dell'operazione

Zveteremich fu grandissimo ed infaticabile traduttore dei classici e di opere fondamentali del Novecento russo, ma anche storico sopraffino: il suo lungo saggio Il grande Parvus ha gettato nuova luce sulla rivoluzione bolscevica ed ancora oggi è un testo imprescindibile per chi voglia capire come Lenin riuscì ad arrivare al potere.

Ma tutte queste competenze non costituirono vanto nella sua attività di docenza, che si svolse a Messina nel silenzio e nell'operosità, volta solo a dare il meglio di sé agli studenti. Io fui fra quelli. Per lo più avevamo un'idea molto vaga di suoi meriti editoriali, ma riconoscevamo in lui un maestro insuperabile di letteratura; rimanevamo incantati dalle sue lezioni, per l'ampio respiro che esse avevano e al contempo per il desiderio che riuscivano ad iniettare di voler approfondire, sapere, leggere ed ancora leggere... Zveteremich seppe trasmetterci un amore straordinario per la sconfinata cultura russa.


Zveteremich ha lasciato la sua biblioteca e il suo archivio all'università di Messina, che ha tardato molto a metterli a disposizione degli appassionati e degli studiosi. Ma si sa la burocrazia è sempre stata nemica giurata della cultura. Da qualche anno le opere monografiche e le riviste del lascito sono consultabili; tuttavia non sono ancora accessibili i manoscritti e dattiloscritti, raccolti in ben 40 faldoni! Compensano in parte lamancanza” due pubblicazioni della stessa università - Scritti di Letteratura a cultura Russa (1996) e Pietro A. Zveteremich. L'uomo, lo slavista, l'intellettuale (2009) - e la sezione speciale tutta dedicata allo slavista del sito www.russianecho.net

Mi chiedevo qualche giorno fa, cosa rimane oggi dell'attività di questo grande studioso. Zveteremich non fu molto amato negli ambienti italiani filorusso-sovietici del suo tempo. Troppo critico, troppo indipendente, troppo irriducibile, fino al limite della blasfemia politico-sociale con Le notti di Mosca. Eppure i suoi allievi, ma anche i semplici lettori delle sue opere non hanno assaggiato nulla di “antirusso”, di pregiudizialmente antirusso, al contrario hanno assorbito un amore sotterraneo, inespresso, ma profondamente radicato verso l'alterità russa, verso la specificità russa, verso una ricchezza multiforme spesso non riconosciuta

Non possiamo dire se questo suo atteggiamento sia stata una scelta voluta, sta di fatto che molti di quegli studenti messinesi ci ritroviamo ancora a parlare di lui, abbiamo opinioni diverse sulla Russia postsovietica e non sappiamo cosa Zveteremich ne penserebbe oggi, per esemplificare, di Putin. Ma quello che più conta è che Zveteremich continua a farci pensare alla Russia senza romanticismi, senza idealismi, ma al contempo, con una passione che ci lascia distanti anni luce dall'immagine della Russia trasmessaci dal main stream mediatico e da un'editoria al novanta per cento allineata a quella della moda corrente, dove la negatività è la notizia e il resto non esiste. Infatti il messaggio per niente subliminale che quotidianamente ci arriva è pressapoco questo: “cosa può mai venire di buono da “quel” paese, attaccato al suo passato e fin troppo asiatico in molte sue dimensioni e per questo così restio ad assimilarsi ai valori indiscutibili della civilizzazione occidentale?” Zveteremich ci ha insegnato a produrre gli anticorpi alle propagande, da qualunque parte esse provengano. Suggerendoci che c'è sempre un'altra storia...

Giuseppe Iannello
Messina, 3 ottobre 2012