La baruffa tra Sinisgalli e Scheiwiller su Quasimodo,
nel racconto di un testimone messinese
Nel 1959 non mancarono le polemiche suscitate dalla scelta dell'Accademia svedese, che incoronò col Nobel Salvatore Quasimodo, cioè il meno quotato all'interno della classica "triade" (con Ungaretti e Montale), che rappresentava, a parere dei più, il meglio della poesia italiana del Novecento.
Addirittura, il
giorno dopo la premiazione, Emilio Cecchi firmò un elzeviro su “Il
Corriere della Sera” (in cui Montale era responsabile delle pagine
culturali) con un incipit
destinato a far discutere: “A caval donato non si guarda in bocca”,
criticando la scelta degli accademici di Svezia. Vero è che, in
effetti, l'articolo, uscito in una domenica d'ottobre del 1959, dopo
l'iniziale frase ad effetto, che fu poi quella che rimase più
impressa nella memoria dei lettori, proseguiva non tanto avanzando
riserve su Quasimodo, quanto esaminando criticamente i criteri
seguiti dall'Accademia Svedese per le Scienze nell'assegnazione del
Nobel, che molto raramente era assegnato all'Italia per la
"limitata diffusione della nostra lingua" e "lo scarso
peso della nostra politica nelle relazioni internazionali";
tutti motivi, aggiungeva Cecchi, che "concorrono a spiegare la
banalità, l'approssimazione, e abbiamo detto addirittura la
incompetenza di certi verdetti". In sostanza, il critico era
convinto che "se le scadenze di questi premi Nobel destinati
all'Italia fossero state meno infrequenti, certe inesattezze di
valutazione avrebbero avuto un effetto men crudo".
Però,
la polemica, rinfocolata anche dalle dichiarazioni infuocate di
Ungaretti, durò a lungo.
Se
molti sono ancora coloro che ricordano questo dibattito, non
altrettanti, certamente, sanno che anche ad Eugenio Montale toccò,
quando nel 1975 anche lui ricevette il Nobel, una polemica di tal
fatta, sia pure in misura ridotta, scoppiata su un periodico politico
edito da Edilio Rusconi.
Fu
Leonardo Sinisgalli (1908-81), il poeta-ingegnere fondatore e
direttore di una rivista di fama mondiale come "Civiltà delle
macchine" (1953-59), che il 6 novembre 1975 diede fuoco alle
polveri con un articolo durissimo, pubblicato sul "Settimanale"
(di cui curava la critica d'arte da Roma), che metteva in luce tutta
la sua indignazione di fronte al fatto che Montale avesse vinto
un premio negato, ancora una volta, ad Ungaretti.
Molto
pesanti erano le ironie e i pettegolezzi inseriti nell'articolo: il
fatto che Montale recensisse certe edizioni perché corrotto
dall'offerta di peperoni secchi sott'olio; o che osteggiasse i poeti
ermetici impedendo loro l'accesso alla pagina letteraria del
"Corriere"; o che si fosse sposato per interesse; o,
addirittura che mangiasse "la minestra di fagioli come un cane"
e che piluccasse "il grappolo d'uva come una gallina, un acino
dietro l'altro, frenetico".
L'uscita
del pezzo provocò, all’epoca, l'indignazione di Vanni Scheiwiller,
noto editore di deliziosi libri (scomparso nel 1999), all'epoca
anche lui critico d'arte del "Settimanale", che, amico di
Montale, da Milano scrisse una lettera al direttore del
"Settimanale", Ignazio Contu, per rispondere a Sinisgalli.
Quello
che, comunque, è assolutamente fuori dal comune è che quest'ultimo
decise a un certo punto d'inviare a mille intellettuali italiani una
risposta privata all'articolo antimontaliano, che riproduciamo
integralmente, in
cui fingeva di non credere, per una "questione di stile",
che davvero l'articolo fosse stato scritto da "un poeta" e
lo invitava a "smentire lo sconcio apocrifo", perché "non
è da poeta, grande o piccolo che sia, scrivere cose tanto basse e
turpi". Le citazioni virgolettate sono tratte da una lettera,
datata 30/10/1975, che, con diverse correzioni fatte a mano (la
versione a stampa è successiva), fu ricevuta, in anteprima da
Giuseppe Miligi, notissimo operatore culturale di Messina, scomparso
nel 2010, che ne ha lasciato traccia tra le carte dell’Archivio
della Biblioteca dei Cappuccini di Messina. Ma ecco la
Lettera
aperta per un apocrifo di Leonardo Sinisgalli
Caro
Sinisgalli,
ho
letto su "il Settimanale" del 5 novembre (n. 45) un
articolo stralunato e da contestatore coi capelli bianchi (Non
mi piace eppure esulto anch'io) che
nonostante la firma non posso credere sia stato effettivamente
scritto da te, un poeta. Questione di stile. In un primo momento ho
pensato subito a uno scherzo atroce ai tuoi danni: come già
capitò al povero Cassola che si vide pubblicato sul "Corriere
della sera", col suo nome, un elzevirino melenso, quasi una
parodia dello stile cassolesco.
Non
era possibile se non a uno Pseudosinisgalli scrivere bassezze senza
pari, senza il minimo rispetto per la vita privata, che va rispettata
comunque, soprattutto da un poeta. Per fortuna è
solo un tuo apocrifo là dove si legge di un Arsenio (alias Montale)
non Astemio, di un editore che otteneva recensioni sul "Corriere"
per due barattoli di peperoni secchi conservati sott'olio, di
tic, di rosicchiamenti d'unghie, di un anellino al mignolo (che è
poi la vera), di un Montale spiantato che riceveva l'elemosina
dell'incarico al Vieusseux, di cose familiari e personali, di come
mangiava la minestra di fagioli, e, alla fin fine, di un Montale
peggio di Arpagone.
Che
c'entra tutto ciò
con la poesia di Montale? Affrettati, caro Sinisgalli, a smentire lo
sconcio apocrifo: c'è da confondere il tuo bellissimo Furor
mathematicus (Urbinati,
Roma 1944) con un livido furore senile, con una invidia da
provinciale, per fare il paio con quell' "ormai intronato"
del falso Sinisgalli.
Affrettati
a smentire l'irresponsabile apocrifo: impossibile che l'autore del
Quaderno
di geometria (1936),
dei Ritratti
di macchine (Edizioni
di Via Letizia, Milano 1937), dei due libriccini pubblicati da mio
padre e che ti diedero fama (18
poesie, 1936
e Campi
Elisi, 1939)
sia diventato così
becero e ignorante da confondere Shakespeare con O'Neill. Difatti, il
balordo libellista che usurpa il tuo nome, si ricordava vagamente di
un infortunio giudiziario capitato a Montale: il Teatro
dell'Università di Roma gli affidò la revisione della traduzione di
Strano
interludio, fatta,
credo, da "una maestrina" e che poi pubblicò nella sua
collana col solo nome di Montale, di qui la condanna formalmente
esatta per plagio. Ma non certo per la bellissima versione montaliana
dell'Amleto principe di Danimarca, tradotto per le scene italiane nel
1949 (ed. Cederna) e ristampato nel '71 dalla Longanesi. Smentisci,
smentisci, smentisci: sei troppo intelligente per
credere sul serio che almeno altri cinque poeti italiani viventi sono
degni del Nobel (fisicamente morti Palazzeschi e Ungaretti, Noventa e
Sbarbaro). L'apocrifo ignora, infatti, che il vero Sinisgalli è
uno di quei poeti minori (autentici) che si pone dei limiti che ha.
Può
non piacergli, sì, la poesia di Montale ma non sarebbe tanto
sprovveduto da usare termini come "barocchetto curiale",
"birignao", scrittura "alla diavola", "epigrammi
agli infilascarpe e satire degradate" per quegli Xenia,
modestamente
stampati alla macchia, in prima edizione, da una piccola tipografia
(C. Bellabarba) di San Severino Marche, da Montale stesso, nel '66,
in 50 copie a spese dell'autore (lire 25.000): per noi fra le cose
più alte che la poesia del '900 abbia consacrato all'amore per la
moglie morta (che l'apocrifo invece insulta).
Caro
Sinisgalli, vedi un po' tu di smentire lo Pseudosinisgalli perché
non è da poeta, grande o piccolo che sia, scrivere cose tanto basse
e turpi. Tu stesso hai presentato ai lettori de "il Settimanale"
il tuo ultimo libro di poesie, Mosche
in bottiglia (ed.
Mondadori 1975) dove a pagina 58 c'è questo aureo epigramma che
dedichiamo insieme all'apocrifo scellerato:
"Il
carnefice deve aver talento."
Vanni
Scheiwiller
Ebbi
modo, a proposito di tutto ciò, di intervistare nel 2005, per la
rivista “Pagnocco”, di cui allora ero direttore, proprio Giuseppe
Miligi come testimone di tale aspra polemica, avendo egli conosciuto
entrambi i protagonisti e potendo aggiungere altri particolari
all’episodio.
Chi
era Leonardo Sinisgalli?
Lo
conobbi verso la fine degli anni Trenta al G.U.F. di Milano, in
occasione di una manifestazione organizzata da Giancarlo Vigorelli e
Vittorio Sereni per mettere a contatto gli universitari con le forze
vive della cultura lombarda. Sinisgalli fu amico di Giovanni
Scheiwiller (padre di Vanni), di origine svizzera, gestore a Milano,
in Galleria, della libreria Hoepli e fu appunto Giovanni ad
inaugurare la propria casa editrice, "All'insegna del pesce
d'oro", con la pubblicazione delle 18
poesie di
Sinisgalli. Vanni, dal canto suo, affermava che da piccolo era stato
tenuto sulle ginocchia proprio dall'amico del padre e che conservava
nel proprio archivio le prose di Horror
vacui
(edito
nel 1945) del poeta con la dedica "A Vanni cresciuto bene".
Come
mai Sinisgalli preferiva Ungaretti a Montale?
Me
lo sono chiesto anch'io e ho trovato la risposta in un aspetto prima
poco conosciuto della biografìa
di Sinisgalli (che riguarda la sua frequentazione a Roma della
libreria "Ferro di cavallo" di via Ripetta, diretta da
Agnese De Donato), venuto fuori sulla rivista "Il Giannone",
diretta da Antonio Motta, che ha dedicato l'ultimo numero del 2004
proprio a Leonardo Sinisgalli, di cui ha pubblicato scritti inediti
composti tra il 1961 e il 1964. C'è sulla rivista, oltre a tanto
materiale che illumina il rapporto del poeta con Roma e alla
riproduzione delle pagine di un suo taccuino sul quale schizzava
paesaggi e ritratti, un saggio del pittore Bruno Caruso che parla
della loro frequentazione dei caffè Rosati e Canova, dei ristoranti
Cesaretto e Manghi proprio con Ungaretti, di cui evidentemente
Sinisgalli era amico e di cui apprezzava la poesia.
Come
si spiega l'avversione manifestata da Sinisgalli nei confronti di
Montale?
Carlo
Rossella, su "Panorama" del 18 dicembre 1975, riassumendo
quella contesa, riportò
una frase dello stesso Sinisgalli riferita a Montale: "Per 30
anni ci ha lasciati nell'ombra. Era tutto lui, noi non eravamo nulla,
pur non essendo dei cretini".
E
Scheiwiller?
Era
un uomo dai gusti diffìcili
e dal carattere calmissimo, editore di libri rari (fra l'altro,
alcuni volumetti di Montale, come "Diario 1971", "La
poesia non esiste", "Accordi e pastelli", "Pastelli
e disegni", "Seconda maniera di Marmeladov").
Sempre sul già citato "Panorama", Rossella riporta una sua
frase assai pesante, secondo la quale Sinisgalli avrebbe
scritto contro Montale "per invidia e per senilità";
e aggiungeva: "E pensare che nonostante tutto è un grande
poeta. E purtroppo anche i grandi poeti invecchiano e Sinisgalli è
invecchiato male".
Come
si concluse la polemica Sinisgalli-Scheiwiller?
Di
questo ho un ricordo personale vivissimo. Nel 1976 Scheiwiller venne
in Sicilia per visitare una mostra di letterati-artisti che si
teneva ad Acicastello, ma, fermatosi a Messina avendo perso il treno,
mi telefonò
chiedendo di vedermi. Io gli dissi che l'avrei accompagnato in auto
alla mostra. Durante il viaggio, lasciò cadere, con la sua solita
flemma: "Sai chi c'è tra gli espositori? C'è
Sinisgalli". Arrivammo in ritardo, dopo che la mostra era già
stata inaugurata e ci indirizzarono al ristorante dove gli espositori
pranzavano. Appena entrati, ci trovammo di fronte proprio Sinisgalli,
che si alzò, venne incontro a Vanni e lo abbracciò dicendogli: "Me
l'hai fatta grossa!". Vanni chiese se lo avrebbe preso a calci
[Sinisgalli,
secondo quanto scritto su “Panorama” dell’11 dicembre 1975, p.
117, aveva ipotizzato solo un anno prima una tale fine, piuttosto
violenta, della polemica, dicendo:"Io vado a Milano, aspetto
Scheiwiller sotto casa e gli do un calcio nel didietro"] e
Sinisgalli concluse: "Dovevo pur trarmi d'impaccio
rispondendoti!".
Così,
tutto finì. Più tardi, dalle pagine de "Il Sole 24 Ore"
del 24 luglio 1988, Scheiwiller definì Sinisgalli "un
sacrificato della poesia del Novecento", auspicando che fosse
finalmente resa giustizia "al poeta ingegnoso di "Civiltà
delle macchine", al "fedele alla
matematica/come/euristica", al poeta sommerso e sommesso che,
quando riesce, sfiora la perfezione di un poeta della Magna Grecia".
L'amicizia
aveva davvero avuto la meglio sulla polemica.
Felice
Irrera