All'università
di Messina confermano di non aver bisogno di punteggi, sono
sufficienti le opinioni; ma “dimenticano” anche di firmare.
Nessun
dietrofront. Anzi sempre peggio. Eppure il nostro articolo di
segnalazione di alcuni mesi fa sulle anomalie, a nostro parere
macroscopiche, delle graduatorie e dei verbali relativi
all'assunzione di personale docente a contratto (ex art. 23
L.240/2010) per insegnamenti scoperti, della durata per lo più di
alcune decine d'ore, all'università di Messina, sembrava, come ci è
stato riferito, aver creato non poco rumore ed imbarazzo
nell'ambiente accademico, soprattutto del DICAM (Dipartimento Civiltà
Antiche e Moderne). Esaminando tuttavia le graduatorie e le risposte
ai ricorsi, inevitabili da parte dei soccombenti, pubblicate on
line dal mese dicembre al mese di febbraio, c'è veramente da
mettersi le mani ai capelli.
Abbiamo
provato a trovare una logica, dei criteri comuni alle diverse
commissioni. Neanche l'ombra. Sono “spariti” perfino i verbali
che in parte motivavano la laconicità di alcune graduatorie, prive
di una qualsiasi forma di punteggio; spariti nel senso che la maggior
parte delle commissioni si è limitata a emettere solo i risultati,
senza i verbali, col difetto “trascurabile” di soprassedere
spesso sulle firme e sul numero di protocollo. Sì, da non credere,
diverse graduatorie sono prive di protocollo visibile (ne abbiamo
contate nove al DICAM) e quindi di data di pubblicazione, e
contengono a malapena una firma, che in qualche caso si può solo
supporre sia quella del presidente: in un foglio, non possiamo certo
definirlo documento, leggiamo semplicemente una firma di certo
professore. E chi è? - viene da dire. E' ovvio sarà uno/una che ha
il diritto di firmare a nome di tutti: “non fermiamoci su queste
formalità”. Un avvocato di medio calibro non troverebbe difficoltà
a far “saltare il banco”... Nelle scuole, questo genere di
avvocati riesce a far promuovere “casi” impossibili, nel senso di
irrecuperabili; basta qualche errore di procedura, anche solo
puramente formale. E tutti sono promossi. Ma qui si stratta di
docenti e si può essere più flessibili (?!).
All'università
sembra invero tutt'altra storia. Andiamo infatti ad esaminare il
verbale della commissione che risponde ai ricorsi di due candidate; e
subito non possiamo non notare che si tratta degli stessi commissari
che avevano stilato quei verbali che erano stati oggetto della nostra
analisi e della nostra critica (“Centonove” del 3/12/2015). Il
rettore cioè ha affidato alle stesse persone il compito di giudicare
se stesse! Ricordiamo la commissione si era prodigata nello spazio di
appena quaranta minuti in un giudizio analitico delle pubblicazioni
(alcune migliaia di pagine) di due candidate, citando discorsivamente
altri titoli ed esperienze didattiche delle stesse, ed arrivando alla
conclusione che una giungeva prima e l'altra seconda, non
attribuendole nessun tipo di punteggio; una delle commissarie però
non ci stava e faceva mettere agli atti che la mancata assunzione di
una griglia di valutazione non garantiva l'obiettività del giudizio
e favoriva l'arbitrarietà dello stesso.
Non
paghi di aver prodotto un primo verbale ai nostri occhi colabrodo, la
commissione si limita nel secondo, rispondendo alle obiezioni dei
ricorrenti, ad affermare che si è attenuta alle norme di legge e che
conferma per la candidata X il giudizio già espresso, con la
precisazione che si tratta del giudizio di due dei tre commissari.
Conferma pertanto in toto la bontà del suo operato. Alla
terza commissaria viene però “concessa” la facoltà di mettere
agli atti il proprio giudizio sulla candidata giunta seconda;
giudizio, ovviamente, di natura opposta a quello degli altri
commissari. Va beh, niente di sorprendente, ognuno giudica secondo il
proprio metro... E invece no! Dal confronto dei giudizi emerge quello
che probabilmente la candidata esclusa ha contestato alla
commissione: non solo la mancanza di un punteggio, ma il fatto che la
candidata vincente in realtà non è in possesso di nessuna
esperienza didattica accademica specifica e invece quella perdente
esattamente il contrario. E in questo caso non si tratta di
un'opinione, sono fatti. Sono fatti che la commissione, ingenuamente,
conferma nel secondo verbale anche in un altro modo. Infatti
prendendo in esame la documentazione, precedentemente scomparsa di
una terza candidata, esclude quest'ultima dalla graduatoria per
titoli insufficienti, sottolineando la non presenza di servizio
accademico pertinente.
Conclusione
primi e ultimi risultano avere la stessa “deficienza” di titoli;
eppure nel bando del concorso “l'attività didattica già maturata
in ambito accademico purché attinente all'attività da svolgere”
risulta, in ordine, il primo dei titoli da valutare.
Queste
ingenuità, ci giunge voce, in redazione, siano state oggetto di una
circostanziata diffida della candidata giunta seconda. Diffida che
sembra sia rimbalzata contro il muro di gomma della burocrazia
amministrativa che se l'è cavata affermando che non sono possibili
ricorsi avverso le graduatorie definitive. Tutto in regola e tutto
sbagliato. A seconda dei punti di vista. Finirà qua la partita?
Edoardo
Mercalli
articolo pubblicato su "Centonove" del 17 marzo 2016