Oggi
la si chiama così, ma siccome tale espressione altro non è che
sinonimo di diffamazione, vorremmo far notare che essa è esistita da
sempre ed è un trucco che si usa per eliminare gli avversari
politici o gli alleati scomodi.
Volendo
andare molto indietro nel tempo, prendo in prestito l’esempio che
segue da una splendida conferenza di qualche anno fa di Tindaro
Gatani, che fece notare come il più antico esempio documentato di
manipolazione occulta dell’informazione è il Liber ad honorem
Augusti (opera
in distici e in tre libri della fine del XII secolo, nella
quale celebrò la conquista del Regno di Sicilia, tessendo le lodi
dell'Imperatore Enrico VI), di Pietro da Eboli, poeta e
cronista (probabilmente un chierico) che è anche, in assoluto, la
prima storia per immagini, il cui prezioso manoscritto originale è
conservato presso la Burgerbiblkiothek di Berna.
Nel
corso della conferenza, Tindaro Gatani, con l’aiuto dei versi e di
alcune immagini originali, che qui riproponiamo, spiegò l’orribile
calunnia che portò alla caduta del regno normanno di Tancredi di
Lecce e all’avvento di quello svevo con Enrico VI, figlio di
Federico Barbarossa e sposo di Costanza di Altavilla. Tancredi è
raffigurato nel manoscritto, come si può vedere, col volto di
scimmia e Ursone, “medico rinomato e pieno di dignità”, mentre
auspica che sia cancellato per sempre il giorno
“in
cui Tancredi ricevette lo scettro di re”, spiega al Poeta che
quell’aborto di natura (Tancredi!) era dovuto al fatto che “non
hanno depositato il loro seme in Tancredi entrambi i genitori, e, se
anche lo hanno fatto, non si sono integrati bene. Il padre era un
duca di sangue reale e la madre donna di stirpe modesta (…) la
bassa condizione non può mischiarsi con la nobiltà”. Un “ventre
vile rivomita il liquido virile e l’uomo è concepito dal solo seme
materno”. “Un embrione sventurato” genera allora “un mostro
detestabile”. Cosa che succede anche nel mondo animale quando una
capra...
Ma
per distruggere Tancredi Pietro da Eboli mira ad annientare anche i
suoi più fedeli collaboratori come Matteo d’Ajello, diffamato,
oltre che perché plebeo, di origini africane, brutto e bigamo
(sic!), con l’accusa di pratiche stregonesche, quali quella di
acquistare la sua forza lavandosi i piedi nel sangue di ragazzi fatti
sgozzare dai suoi servi.
Ed eccolo, appunto raffigurato con le estremità inferiori a bagno in
un catino in cui un servo fa scorrere il sangue di un individuo a cui
aveva appena tagliato il capo. Insomma un essere abietto.
Siamo
al massimo di un’inverosimile calunnia!
Eppure,
anche grazie a Pietro da Eboli e alla sua “macchina del fango” le
tre corone dell’Impero germanico, dell’Italia e della Sicilia
cinsero allora una sola testa, quella appunto di Enrico VI, di cui
l’autore era partigiano, e quell’atto scatenò numerose guerre in
tutta Europa e fu all’origine della fine dei tre regni.
È
questa, comunque, una manipolazione dell’informazione che costò
molto tempo e fatica all’autore, che vi dedicò una cura
particolare,
forse in vista di un dono da fare all’imperatore, prospettiva che
non si sa se poi effettivamente avvenuta.
Oggi,
grazie ad internet, la fatica di calunniare è assai minore ed anche
dei completi illetterati possono gettare fango su chiunque non per
qualche scopo particolare (come nel caso del nostro Pietro), ma per
dimostrare a se stessi soltanto di esistere: con la differenza che
oggi ancora leggiamo i versi di Pietro e ammiriamo le miniature di
questo straordinario codice, mentre le performances degli
insulsi scribacchini di oggi sono scritte sulla sabbia!
Felice
Irrera