giovedì 27 dicembre 2018

DUETTO SU QUASIMODO

Un inedito scambio epistolare tra Morabito e Miligi.

Negli anni Sessanta, ebbi come professore Giuseppe Morabito, latinista di fama internazionale, plurivincitore di molti Certamina in poesia e prosa latina, al Liceo “Maurolico” di Messina e già allora mi educò ad amare una lingua che poi, a mia volta, avrei approfondito per insegnarla, ma che ormai ha un sempre minor numero di cultori, siano essi studenti o anche insegnanti.
Giuseppe Morabito (1996)
Dopo che finalmente riuscii a raggiungere, questa volta come docente, quella scuola che mi aveva formato, andai diverse volte a trovare il mio professore, ormai in quiescenza, nel suo studio semplice e austero dove ancora, in età avanzata, continuava a comporre e a scrivere articoli di vera e propria ribellione a quello che considerava un sempre più progressivo deteriorarsi degli studi classici e un deprimente declino della razionalità sicuramente ad essi connessa.
 Conobbi, invece, Giuseppe Miligi, anche lui uomo di scuola e già in essa Preside, fine critico della letteratura contemporanea (in particolare del Futurismo), frequentatore di altri personaggi della Messina che fu (come i “ragazzi dello Jaci” Pugliatti e Quasimodo), negli ultimi anni della sua vita, quando, anche lui ormai pensionato, mi fu presentato da Peppino Cavarra, altro studioso che, come loro, ha onorato Messina.
Giuseppe Miligi
A mettere insieme due personaggi così diversi tra loro per carattere e studi (l’uno tutto proiettato nel culto dell’antichità, rifiutando quasi totalmente la modernità nel suo rinnovamento delle forme tradizionali dell’espressione; l’altro sintonizzato sul presente), ha provveduto, poco tempo fa, una mia visita in città alla splendida Biblioteca dei Padri Cappuccini di Pompei, dove ho potuto reperire, debitamente catalogato, un breve carteggio tra loro intercorso, che mi sembra molto significativo per indicare dei loro autori il carattere, gli interessi e, più in generale, l’amore per gli aspetti di una cultura considerata da ognuno di loro da diversi angoli di visuale, ma di certo in modo assai alto.
Tra le carte-Miligi, ho ritrovato un dattiloscritto, forse poi da lui pubblicato su qualche giornale o rivista, a cui ho potuto attingere materiale per questo singolare episodio, in cui egli scrive di non aver conosciuto direttamente, ma solo per fama, Morabito, fino all’inizio degli anni Novanta, anche se spesso lo incontrava la domenica, alla Messa delle otto, nella chiesa del Carmine.
L’occasione per fare conoscenza, racconta Miligi, gli fu data dalla “rivoluzione” liturgica che segnò (con grande rammarico del professore Morabito) la fine della Messa in latino, introducendo, fra l’altro, lo scambio di “un segno di pace” tra i fedeli: ed ecco che, trovandosi vicini, la rituale stretta di mano fece le veci di una formale presentazione, sicché da allora in poi si salutarono sempre.
Ed ecco che nel dicembre 1991 Morabito fermò Miligi all’uscita della chiesa, per dirgli, sorprendendolo non poco, della sua intenzione di mettere in versi latini la più nota delle liriche di Quasimodo, “Vento a Tindari”, per realizzare la quale chiedeva la sua collaborazione.
La sorpresa di Miligi si spiegava, naturalmente, col fatto che ben conosceva le riserve di Morabito su Quasimodo, al quale, in un articolo, il latinista aveva imputato l’inosservanza delle tradizionali regole della metrica. In cosa consisteva, dunque, la collaborazione richiesta?
Morabito desiderava semplicemente che Miligi gli volgesse in prosa il testo di quella lirica, in modo da rispettare le regole comuni della comunicazione del pensiero e da aderire perfettamente alle intenzioni del poeta.
Miligi, nonostante prospettasse subito al suo interlocutore le difficoltà dell’operazione, per via dell’ambiguità del linguaggio espressivo delle poetiche moderne, promise di cercare di accontentarlo e la domenica successiva, al solito appuntamento della Messa, gli consegnò (assieme ad alcune pubblicazioni) la lettera che qui riproduciamo nell’originario dattiloscritto. 

 
Messina,21 dicembre 1991
Gentile professor Morabito,
ricollegandomi al nostro incontro dell’altro giorno ed alla Sua richiesta di mettere nei termini di un discorso che abbia la conseguenzialità logica di una prosa narrativa o descrittiva il famoso Vento a Tindari di Quasimodo, Le ripeto che la cosa non solo
non è facile ma nemmeno del tutto possibile. Mi limiterò pertanto
ad avanzare delle ipotesi interpretative sperando che possano
esserLe di una qualche utilità nel lavoro di traduzione.
Le ragioni di quanto sopra detto sono quelle di cui si è parlato quel giorno e riguardano in fondo quasi tutta la poesia moderna.
Le troverà espresse nell'articolo che Pugliatti ha dedicato alla lirica in parola che direttamente lo coinvolge(come certo saprà è lui il "soave amico" evocato nell'ultima strofe).
Le mando fotocopia di una plaquette che lo riproduce assieme al
testo della poesia così come è apparsa in Acgue e terre (ho segnato in inchiostro rosso le varianti apportate nella redazione definitiva di Ed è subito sera). Come ben può vedere, nemmeno Pugliatti mette in chiaro tutte le immagini poetiche, limitandosi quasi sempre a suggerirne il senso globale:che scaturisce quasi sempre dalle suggestioni espressive più che dal significato logico delle parole: con quel tanto di ambiguità e
di soggettività che ne consegue. Ritengo così legittimo dissentire dalle interpretazioni che non poggino su dati oggettivi,riscontrabili.
Per esempio,il verso della 2ᵃ strofe "onda di suoni e amore" mi pare
possa essere inteso diversamente da come lui propone. Potrebbe contenere un'endiadi e riferirsi alla "brigata" che il poeta – tutto "assorto" com'è nei pensieri che il "vento"gli suscita - percepisce come un’"onda" "lontana"("s'allontana nell'aria")di "suoni amorosi". E' un'interpretazione - ovviamente del tutto soggettiva - che offre il vantaggio di un'agevole traduzione.
Quanto agli altri versi della 2ᵃstrofe(la lᵃnon mi pare ponga problemi):
-il tu("e tu mi prendi")come propone Pugliatti(e mi pare interpretazione autorizzata dati i suoi rapporti col poeta)va riferito ad un "fantasma femminile"(come lo dice Montale nella lettera a Pugliatti che Le accludo,da me copiata nella parte che interessa)
-male mi trassi dice,mi pare,di un distacco non volontario,dovuto alla malignità della sorte,dalla donna amata
-i tre versi finali alludono - a mio parere - alle conseguenze negative di tale distacco(nel 2°dei tre versi,rifugi potrebbe tradursi in ricordi: il poeta può solo rifugiarsi nel ricordo se vuole ritrovare quelle"dolcezze"che "un tempo" erano realtà d'ogni giorno "assidue")
Quanto alla 3strofe:
-la terra("ove ogni giorno affondo")è da intendersi metaforicamente come condizione di vita,del tutto dissonante rispetto ai "sogni" di
cui segretamente si nutre la sua poesia("segrete sillabe nutro"): segretamente perché nella dura realtà in cui il poeta si trova immerso non c'è posto per il sogno-poesia(per la "ricerca d'armonia" di cui si parla nella strofe seguente)
-i 4 versi finali sono da ricollegare all'attacco iniziale della strofe:
"A te ignota è la terra...". Cioè: tu non sai più nulla della mia vita, ne sei del tutto fuori perché ormai "altra luce ti sfoglia etc., "(rinunzio a suggerire l'equivalente logico dell'immagine, anche se il senso è abbastanza chiaro ed è,comunque,chiaramente indicato nei due versi finali: gioia non mia/riposa sul tuo grembo.
La 4ᵃ strofe:
- Per esilio Le ho già detto che va inteso come condizione di alienazione, di emarginazione: la ricerca d'armonia che connotava il sogno lontano legato all'immagine femminile si è mutata in desiderio di
morte; ogni amore che il poeta ora tenta serve solo a mascherare (è
schermo) la tristezza:non è che passo nel buio e nell'amarezza diventata
ormai cibo quotidiano (=pane).
L'ultima strofe, come la prima, non mi pare presenti difficoltà di
interpretazione.
Come vede dalla lettera che Le ho copiato, anche Montale confessa
(a Pugliatti)le sue perplessità e difficoltà di interpretazione. Curiosamente però l'immagine per lui più ermetica è quella che a me
sembra più accessibile (onda di suoni e amore) mentre sembra non
trovare particolari ostacoli a decifrare quella che mi riesce più ostica: ("altra luce ti sfoglia…").
Unisco il l° dei "Quaderni quasimodiani"di recente pubblicazione che
reca un mio saggio sul carteggio Quasimodo-Misefari. Si renderà conto
che per Quasimodo la Calabria non fu terra d'esilio come comunemente
si è inteso. L'esilio fu per lui una dimensione interiore:se lo portava sempre dietro e dentro dovunque si trovasse.
Spero di non averLa troppo delusa e mi auguro che le mie ipotesi
di lettura possano essere di qualche utilità al Suo lavoro di traduzione.
Cordialmente Suo
Giuseppe Miligi

 
Pochi giorni dopo aver ricevuto questa lettera, Morabito consegnò a Miligi la sua risposta, accompagnandola con alcuni suoi scritti di recente pubblicazione, testimonianza non solo di quanto fosse ancora attivo e fecondo l’otium della sua quiescenza e viva e reattiva la sua curiosità intellettuale, ma anche di come egli vivesse il presente col cuore e la mente sempre rivolto ai suoi amati classici.
Ed ecco la lettera del professore.

 
26 - 12 - '91
Egregio collega,
ho finito stamane di leggere le lettere a Misefari. Sapevo molto poco di lui,né ho letto alcuna sua pagina. Penso di passare in biblioteca e vedere se trovo qualcosa. Intanto ammiro la Sua acribia nell'ordinare e chiarire tanto materiale.
Cercherò di rileggere con mente più calma,ma ho poca fiducia,in me e nella mia età che preme. Son passati più di 60 anni dalla composizione del Vento a T. e il buio rimane. Penso a quel tu. Poiché altri non pensano a una donna,ma lo riferiscono a Tindari(ultimo,come Le dissi, è Giuseppe Mansi,acuto studioso come dimostrano i numerosi volumi pubblicati),io non saprei scegliere. Io non conoscevo la lettera di Montale; d'altra parte Quasimodo,col suo silenzio,aveva accettato quel che aveva proposto Pugliatti.Io non so connettere le varie parti. Se la poesia deve essere un rebus da fare impazzire,la respingo quanto posso. Q. dice che il Vento fu letto in un teatro di Genova e il pubblico sceltissimo applaudiva. Devo convincermi che il pubblico,anche raffinato e sceltissimo, è una massa di imbecilli, se applaude ciò che non ha potuto capire:dopo 60 anni si è incerti e si fantastica. Forse è più chiaro il Veltro di Dante. Vann'Anto'(passo,due tre volte al mese,davanti alla sua tomba)un giorno mi disse che Q. aveva un orecchio finissimo;io non credo molto,e lo scrissi varie volte; pensavo a quei suoi endecasillabi falsi,che ho anche citato;credo che non se ne trovi uno in tutta la letteratura nostra.
Finito l'ermetismo venne la poesia civile,e quei versetti sulla luna che tradussi in latino,senza leggi come non c'è legge in italiano. Per me,prosa. C'è un verso(e non ricordo dove possa essere), come sarebbe "nel mille novecento trentanove": versi del genere,in una poesia scherzosa,possono andare,ma dovrebbe essere rimata;fuori,e senza rime,non credo.
La mia chiusa ostilità è dovuta certo al mio insegnamento,al mio uso del latino; ma pensi al giudizio di un prof. di Italiano a Bologna,Alfredo Galletti(è nel suo Novecento); nessuno lo cita. Diversa mentalità;forse anche diversa forma delle rotelle cerebrali. Dicendo questo non intendo recar dispiacere a quanti coltivano o ammirano la poesia ermetica, che ancora mi pare continui per certe stramberie che ho letto recentemente senza capirci quasi nulla.
Lasciando questo,debbo dirLe che mi fa ridere lo strutturalismo(a p.39
del 1° Quaderno).Dieci anni fa ho visto queste stupidaggini in cose latine;non posso mandarLe il mio opuscolo relativo;se qualche volta avesse curiosità di vederlo,lo troverebbe in biblioteca(ma funziona?); cosa più recente è in "Calabria Letteraria" che può trovare in biblioteca nella sede delle riviste:l'ho scritto per i versi latini su Sciascia pubblicati sulla
Gazzetta due anni fa. L'articolo la Gazzetta non lo volle,ho dovuto un po'ampliarlo,aggiungendo qualcosa all'inizio e alla fine. Ho corretto a mano gli errori di stampa,aggiungendo un rigo saltato.
Fermarsi a contare quanti U ed A ci sono in un verso,come fa Musarra, per me è ridicolo,come è cosa stupida notare,come ha fatto una studiosa di Quasimodo,che,nei tre versetti di Ed è subito sera,nel primo verso ci sono tutte le vocali ma senza la i; nel secondo tutte senza la u;nel terzo ci sono tutte e cinque!Che miracolo!
La ringrazio della Sua,che conserverò,e di ciò che vi ha aggiunto.
In una busta avevo raccolto alcuni articoli su Q,; ora debbo cambiare busta per i nuovi arrivati. Le mando un mio fascicolo latino e due articoli in fotocopia.
Intanto buon anno a Lei e Signora con l’augurio di poterci incontrare altre volte.
Giuseppe Morabito

Erq, dunque, l’abbandono del progetto morabitiano della traduzione di “Vento a Tindari”!
Connettere le varie parti della lirica inserendovi i nessi logici mancanti era, secondo lui, un’operazione che comportava l’abuso di un’interpretazione soggettiva, che non trovava un riscontro oggettivamente certo nel testo poetico.
Per lui, insomma, era imperativo categorico per il traduttore il rispetto assoluto del pensiero dell’autore, e questo anche nel caso in cui una specifica poetica autorizzasse l’arbitrio di una libera interpretazione: avrebbe voluto avere a disposizione la diretta testimonianza di Quasimodo.
Giuseppe Miligi, nel dattiloscritto citato all’inizio, così scriveva in conclusione:
A me comunque lascia un vivo rammarico la rinuncia del prof. Morabito, la sua riluttanza a cimentarsi in un’impresa che riteneva arbitraria. Mi attendevo da lui un’operazione analoga specularmente (…) a quella di Quasimodo, che (…) aveva saputo riproporre in veste moderna gli incanti della poesia dei nostri avi greci e latini. Ma il prof. Morabito non si sentì di impegnarsi nell’operazione inversa, che forse solo lui – così perdutamente “classico” tra gli antichi classici e “totus in illis” – avrebbe potuto realizzare”.
Dopo quest’episodio, comunque, scrive ancora Miligi, “l’incontro domenicale al Carmine – il saluto, il breve scambio di cortesie – fu meno formale, ebbe toni di affabilità”.
Oggi, questi due uomini così diversi tra loro, eppur così rispettosi l’uno dell’altro, non ci sono più e ci piace pensare che, credenti quali entrambi erano, s’incontrino ancora in cielo.

 
Felice Irrera

mercoledì 22 agosto 2018

Meditazioni poetiche politiche 2

È la fede degli amanti/come l’Araba Fenice:/che vi sia ciascun lo dice,/dove sia nessun lo sa  (Pietro Metastasio)

AGLI ATTUALI GOVERNANTI

All’alme semplici
dei folli amanti
che vi votaro
e a quelle complici
che vi sfruttaro,
che per voi spargono
sospiri e pianti
e da voi sperano
pur manteniate
subito, adesso,
quanto promesso,
solo predìco:
fede d’amanti
Matteo e Gigetto,
per loro limiti,
coi loro accoliti
pur tradiranno,
e il loro affanno
per ignoranza
li stroncherà!

 
La storia non è poi/la devastante ruspa che si dice./Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli./ C’è chi sopravvive (Eugenio Montale, La storia, in Satura)

STUPIDITÀ A ROMA

Ecco, adesso la ruspa ha cacciato,
radendo al suolo un camping, dei Rom,
solo che essi si son trasferiti
in altri luoghi della città:
tunnel, parcheggi, anfratti, tettoie
alloggian essi senza rancore;
l’abbattimento inutile fu!
Ciò che più conta è fare notizia
(è vero, Raggi? Vero è, Salvini?):
compari, leghisti e Cinquestelle
sul serio fan sfidando procelle!
Che se poi a zonzo i Rom si vanno,
o in altre zone erigono un campo,
mandiam le ruspe e presto, in un lampo,
questo problema risolveranno!
O governanti senza cervello,
giunti al potere non si sa come,
se non ponete a voi la questione
di sistemarli con un’accoglienza
che ne preveda pure la decenza,
gli insediamenti mai avranno fine
e solamente non rimarrà
che insensatezza e stupidità
di chi per catturare altri stolti
lascia sempre i problemi irrisolti!

 
C’è del metodo in questa follia (W. Shakespeare, Amleto)

LA NEOLINGUA GRILLINA

Questo è un governo che rinnova tutto”!
Ce lo ripeton sempre e in ogni luogo
Grillini e Lega senza alcun ritegno.
Or pur crediamo che bisogna dire
che la nostra ministra alla salute,
Giulietta Grillo (un nome ed un presagio!),
proprio nel senso della novità
ha fatto centro, con la sua adozione
d’una ossimorica composizione,
quando, a proposito di quei vaccini
a cui non tutti sono vicini,
con circolar veramente impagabile,
ha definito un vincolo “flessibile”.
Solamente un poeta come lei
potea giungere a simili altezze
e fa sperare ben per il futuro!
Tu giungesti alle vette di Parnaso
in “facoltà” modificando un “obbligo”!
Ma con quest’ibrido sei stata astuta,
così fingendo i vaccini d’imporre,
pur permettendo a chi non vuole farli
del proprio agire la legalità.
Imitasti l’altissimo Aldo Moro
e le sue “convergenze parallele”
e Enrico Berlinguer, che il suo partito
chiamò allora “di lotta e di governo”!
Quant’è bello questo “obbligo a piacere”:
la sua memoria alla posterità
di certo imperitura resterà!

 _________

 
Cum boni plus quam multi valent, expendendos cives, non numerandos.
Marco Tullio Cicerone, De republica)
Per realizzare una democrazia compiuta occorre avere il coraggio di rimettere in discussione il diritto di voto. Non posso guidare un aeroplano appellandomi al principio di uguaglianza: devo prima superare un esame di volo. Perché quindi il voto, attività non meno affascinante e pericolosa, dovrebbe essere sottratto a un esame preventivo di educazione civica e di conoscenza minima della Costituzione?
Massimo Gramellini, La megliocrazia, “La Stampa”, 2011),


PARTITI E “NUOVI” MOVIMENTI

La fine dei partiti
s’è ormai già consumata:
tesseramenti in calo
e niente più abbuffata
di donazioni accorte
che aprono le porte
Esiston Movimenti
assai più convincenti
(almen per gli elettori)
che dicono di vivere
non incassando niente!
Gli antichi tesorieri
dei partiti defunti
rovistano nell’umido,
non fanno investimenti,
come fece Belsito
coi soldi che lo Stato
alla Lega di Bossi,
per svolger le mansioni
soltanto aveva mossi.
Intanto, i segretari
dei partiti ormai morti,
privati d’auto blu,
con il pollice in su
provano l’autostop!
Persin da Forza Italia
alle stesse Olgettine
non giungon più regali!
Per tanti, troppi anni,
l’Italia han divorato
questi bei tomi qui
che ci hanno governato:
or pagano la colpa
di avere divorziato,
per propri sporchi affari,
dai bisogni reali
di un popol che li avea
prescelti e poi votati.
È vero pure che
i politici nuovi,
quelli dei Movimenti,
tante promesse han fatto
di fare pulizia,
ma occorron competenze,
e non sol le irruenze
di Matteo e Gigetto
unti sotto il tetto
delle loro incoerenze.
Con twitte roboanti
di certo non potranno
governare un Paese
ove la corruzione
è un problema palese!
Essa fu potenziata,
quando lui scese in campo,
da un certo cavaliere
che fu poi degradato,
dal Parlamento espulso
e infine condannato.
Ora egli conta poco
(Salvini l’ha asfaltato!),
il frutto del suo mal,
però, ci ha avvelenato!
Nefasta fu la sorte
col darci Berlusconi
e tutta la sua corte:
or di far pulizia
spetterebbe ai cialtroni
che il popolo italiano
volgarmente han frodato
col firmare un contratto
su promesse incentrato
che sanno di magia?
Ei proseguon la strada
che fu propria di Silvio:
l’impegno d’abbassare
le tasse e poi lavoro
creare è il loro mantra,
e quello ben riuscì
nell’inganno che ordì
grazie all’ingenuità
di masse d’ignoranti,
che intontiva in tivvù
con ritmi martellanti.
Peccato che le scelte
dei nuovi vincitori
sian non soltanto vane
ma prive d’orizzonte
e tendano soltanto
a guadagnare voti
alle elezioni prossime
(che son sempre vicine):
non dare prospettiva
con una mission certa
al futuro che avanza
e non soltanto all’oggi
è segno d’insipienza!


CONTRADDIZIONE


Nel nostro Paese il volontariato,
tante emergenze si è accollato
e sì dando prova al resto del mondo
si spende molto per chi ha bisogno.
Gran parte di popolo è dunque coeso,
supporta benefico ogni indifeso.

Perché siamo sciatti e sì imprevidenti,
credendo, invece, ai comandamenti,
dettati solo da menti stolte
che al nostro futuro non son rivolte
e ci promettono con sicumera
vantaggi pronti, sicuri e immediati
grazie a una croce per lor tracciata
che è poi il preludio di bidonata?

Purtroppo, quella croce ebbe l’effetto
di consegnarci solo a demagoghi,
a tribuni sol abili a parlare
per conservare il loro elettorato:
ma quella croce la portiamo noi!



La storia non è giustiziera, ma giustificatrice”
(Benedetto Croce, Teoria e storia della storiografia)

PROFEZIA

Proverò oggi, come fe’ Tiresia,
a profetare di Di Maio la sorte
da accomunare a quella di Salvini.
Quest’ultimo ben presto voi vedrete,
meravigliati per questo suo gesto,
lavar piedi e caviglie ai neri in viso
fermandoli per chieder loro scusa
del suo comportamento precedente,
certo razzista e mai complimentoso;
in casa accoglierà tre maghrebini,
che manterrà a sue spese giorno e notte,
trattandoli da umani e senza botte.
Quanto a Di Maio, proverà a studiare,
alla Lusis, o forse alla Bocconi,
anche se prima in una scuola media
gli insegneranno a usare i congiuntivi:
ai cinquant’anni si laureerà
e sarà assunto come addetto in prova,
con temporaneo incarico biennale,
in un’azienda della sua Campania,
con la promessa poi d’altro rinnovo.
Giustizia è fatta, potrà dir qualcuno
a fronte d’una tale previsione,
ma la storia giustifica soltanto
le azioni, spesso strane, degli umani:
non fa giustizia mai dei loro errori!



          
                                               
          
 IL PROCESSO      

 
Alzatevi, Salvini.
Voi siete qui imputato
d’aver plurimentito
al popolo italiano”.
Che dite, presidente?
Io sono veritiero:
è proprio un’ingiustizia
per chi sempre è sincero!”
Volete voi negare
d’avere sostenuto
che gli immigrati invaso
han tutto lo stivale?”
No di certo, lo ammetto,
ho esagerato alquanto:
non si posson vedere,
ma sol per il colore
che di notte li cela.
Se lavoran di giorno
nelle fabbriche, invece,
degli amici leghisti,
per me van proprio bene”.
E allora perché mai
li voleste fermare?”
Che vuole, presidente,
un nemico mi occorre
per mietere consenso
quando si voterà.
E per questo motivo
andai pure dicendo
che commetton reati
quali furti e rapine,
stupri ed abigeati
assai più numerosi
di tutti gli Italiani:
il popol della Lega
non sa fare di conto
e crede ciecamente
a quanto gli racconto”.
E quando sostenete
che la Chiesa di rado
ha aperto le sue porte
per accoglierli in proprio?
Mi sembrate Pinocchio
mostrando d’ignorare
che da sempre fa il bene
a Italiani e migranti,
provvedendo a lor pene…”
Scusate, presidente,
mi sembrate un ingenuo:
avete mai sentito
che un di’ ci fu quel motto
che recitava come
chi ha molti nemici
ha pure molto onore?”
Ma di che onor cianciate,
razza di parolaio,
fascista di ritorno!
Sono davvero ottuse
le vostre spiegazioni!
Provvederemo, dunque,
qui nei confronti vostri
a chiedere un perito
che misuri d’urgenza,
senza por tempo in mezzo,
la vostra intelligenza”
Ma questo è un vero abuso,
non potete far questo:
io son Matteo Salvini,
ministro dell’Interno…”
All’interno starete,
per ciò che avete fatto
con abuso d’ufficio,
d’una bella struttura,
con camicia di forza
se fate resistenza!
Or lo si porti via
e recate quell’altro…
sì…l’altro bel soggetto
che a questo scellerato
fa sol da scendiletto.
Dico: Di Maio Luigi
sia subito scortato!
Se confesserà tosto
d’aver turlupinato,
con le false promesse
di cancellarne i mali,
un popolo incantato,
lo assegnerò di certo
ai servizi sociali,
dove potrà davvero,
mantenendoli allegri,
raccontar barzellette,
ai pazzi e alle vecchiette!”


PRIMA DI TUTTO GLI ITALIANI
Lasci stare i migranti
il ministro Salvini
e volga gli abbaglianti
contro ’ ndrangheta e mafia!

Solo così al Paese
renderà un buon servizio,
sì combattendo il cancro
che lo ha annichilito

con quella corruzione
dilagata dovunque
che è l’aspetto serio
di ogni situazione.

Lo so: non porta voti
combattere le mafie
(anzi, forse ne toglie!),
ma certo un monumento

erigeremmo a chi
agisse veramente
ponendo al primo posto,
così come egli dice,

soltanto gli Italiani!



Agosto 2018


 
 
L’IMPERO DEI GUITTI

Cappelletto bermuda e maglietta
l’hanno visto al Gran Premio di Monza;
conferenza alla stampa ha tenuto
nudo il torso e tovaglia in ispalla;
su un giornal sono uscite le foto
di sue coccole hard alla bella;
e ad un flipper l’hanno filmato
con t-shirt esaltante l’offesa;
a Pontida la maglia s’è alzato
per il caldo, scoprendo la pancia!
Tutto questo è Salvini Matteo:
lui si posta com’era bambino;
come va sulla sua moto d’acqua;
mentre impugna la canna da pesca
e sciorina il rosario da asporto;
quando hamburger trangugia scomposto
appoggiando i suoi gomiti al desco.
Tutti questi son vizi nascosti
di quel nostro italiano costume
che per nome si chiama “guittismo”!
Sciatteria (non è altro che questo),
sia nei tratti che in abiti e mode,
di chi è un commediante scadente,
ogni giorno di più somigliante
al guittismo fascista in stivali,
al rampante guittismo di Craxi
ed a quello del barbaro Bossi,
come al cossighiano delirio
ed infine al guittismo pacchiano
del buon miliardario Berlusca.
Per sfortuna del nostro Paese,
minoranza i non-guitti oggi sono!

Settembre 2018


LE PIAGHE D’ITALIA

Questi qui che sgovernan l’Italia
sono i figli deformi di Renzi
che, per colpa del primo Matteo,
al potere or si son sistemati.
Così oggi essi van predicando
che riaggiusteranno il Paese,
che ciascuno potrà a fine mese
finalmente a spumante brindar!
Siete illusi, voi tanti Italiani
che Salvini e Di Maio votaste:
ciò che lega le due teste matte
non è altro che solo il poter!
L’uno è furbo e nel torbido pesca,
stimolando gli istinti peggiori
dei più barbari dei cittadini;
l’altro, privo di ogni istruzione,
a sproposito parla di tutto.
Sono come le piaghe d’Egitto
che colpirono il gran Faraone,
ma verrà tra non molto quel tempo
quando alfine diremo: “Ci fu…”!

Settembre 2018

Felice Irrera