"Colpiva non solo la sua acutezza e la produzione di centinaia
di ricerche di valore in campo storico e artistico, ma, anche e
soprattutto, la sua estrema generosità nel supportare gli studi
degli altri, che seguiva con l'identica passione con cui portava a
termine i suoi: elemento molto raro a Messina"
"Commemorare"
è una parola enfatica che certo a Giovanni Molonia non sarebbe
piaciuta; e conoscendo il suo atteggiamento di rifiuto verso ogni
retorica e la sua personale ritrosia di fronte a qualsiasi
riconoscimento, so bene che, anche post mortem, avrebbe
gradito, secondo la sua innata modestia, la moderazione dei toni.
Così,
per qualche mese, ho taciuto, proprio per allontanare per un po’
quel sospetto di unzione liturgica che accompagna ogni
commemorazione; poi ho pensato di rivalutare, invece, l'etimologia
del termine "commemorare", connettendolo ad un uso nobile
della memoria: una celebrazione da compiere, senza orpelli, facendo
parlare il proprio cuore che, se interrogato, risponde sempre.
Ricordare
a bassa voce, nel proprio profondo, un caro scomparso, fa davvero
assumere alla parola un significato ed una dignità accettabile anche
da Giovanni ed è quindi possibile venir meno al suo costante
desiderio di riservatezza, interpretando pure, adesso, la volontà di
un’intera comunità che lo ha conosciuto ed apprezzato.
È
per tutto questo che, mentre il tempo va implacabilmente, ma
umanamente, lenendo il dolore provocato dall’improvvisa scomparsa
di Giovanni, pur avvertendo ancora come un sopruso il categorico
vuoto dell’assenza fisica di un amico affettuoso, mi sento adesso
di ricordarlo.
Studioso
impareggiabile e schivo di palcoscenici, Giovanni era innamorato
della sua città, alla quale, pur scorgendone i tanti difetti, ha
dedicato tutta una vita di studi; e chi gli è stato amico può
sinceramente testimoniare di aver attinto da lui, dal suo sapere e
dalla sua umanità, da quella sua ansia continua di ricerca, che è
poi segno distintivo, giusto e sacro nell'uomo.
Della
nostra città discutevo spesso con lui, ma non della Messina entità
geografica, che, pur bellissima nella sua storia e nei suoi miti,
fatica ancora a rinverdire nella contemporaneità anche solo una
parte dei fasti di un tempo; ma della civitas, della sua
cittadinanza che oggi appare in gran parte priva d’identità,
ripiegata nel ricordo, tutto provinciale e non storicizzato, quasi
che solo per questo le si dovesse rendere omaggio da parte del resto
del mondo.
Di
questo e di molto altro parlavamo con Giovanni, dall’innata
modestia nonostante l’enorme e prestigiosa mole degli scritti per i
quali era conosciutissimo, quando, quasi
ogni martedì (prima che lui si recasse all’Archivio Storico del
Comune per svolgervi il suo compito di “esperto non retribuito”),
c’incontravamo al bar Ajello e ordinavamo al gestore, secondo le
stagioni, una granita o un cappuccino, sedendo ad un tavolino che ci
permetteva di ammirare, alla parete in fondo, qualche nuova creazione
di Pietro Mantilla.
Erano
per me momenti di vero piacere intellettuale, quelli in cui mi
parlava delle sue esperienze, dei suoi studi, dei suoi ricordi,
trasmettendomi quel desiderio di conoscere, quell’intensa e
irrefrenabile curiositas che ha contraddistinto tutta la sua
vita, fin da quando, ragazzo, acquistava alla libreria Ciofalo i
volumetti a buon mercato della Biblioteca Universale Rizzoli:
quell’ansia di sapere non lo abbandonò mai e non si esercitava
soltanto, come si può credere, in campo storico, artistico o
musicale, dove era un maestro, ma anche in campo letterario, dove non
mancava di seguire le nuove iniziative editoriali: ultima la bella
edizione, della Salerno, della Divina Commedia, opera che entrambi
consideravamo il più grande capolavoro della letteratura mondiale,
da leggere proprio da parte di tutti e che, invece, malinconicamente,
perdeva sempre più spazio nelle scuole italiane, come se fosse ormai
“sorpassata”.
Sì,
perché anche di scuola si parlava con Giovanni, che con quelle
istituzioni cercava sempre d’intrattenere rapporti, offrendosi
d’incontrare i ragazzi, anche i più piccoli, per far loro imparare
ad amare quei libri che erano il suo tesoro e la sua vita; per dialogare con gli studenti più grandi, con passione e slancio, su fatti e personaggi di quella storia messinese di cui era assoluto padrone.
All'Archivio
Storico e alla Biblioteca Cannizzaro riusciva, con l’aiuto di un
personale che gli si era affezionato, lo apprezzava e quindi lo
supportava, ad organizzare eventi nonostante la mancanza di ogni
disponibilità economica: non credo sia un segreto da mantenere che
quasi sempre era lui stesso a far stampare a sue spese le locandine
che servivano per propagandarli.
Quante
opere, poi, negli anni in cui si è occupato dei libri di questo
Comune da troppi anni allo sbando, è riuscito a stampare traendole
dall’oblio in cui erano cadute, dimenticate e chiuse agli studiosi!
Basti citare soltanto i tre volumi, da lui ricavati con una
meticolosa trascrizione, dal diario di Gaetano La Corte Cailler, e
gli altri tre (di cui solo due pubblicati), tratti da un’altrettanto
accurata trascrizione da giornali di fine Ottocento e primi
Novecento, contenenti i moltissimi articoli disseminati in varie
testate da Giuseppe Arenaprimo: ad entrambi questi studiosi e
all’opera indefessa di Giovanni dobbiamo ora tante notizie che
altrimenti sarebbero rimaste inesorabilmente sepolte in polverosi
scaffali.
Parlava
anche con me, che poco
ne ero esperto, delle vicende teatrali e musicali della città,
che profondamente conosceva da bibliotecario della Filarmonica
Laudamo e soprattutto da bravo amante della musica, passione questa
che condivideva con la compagna di una vita, la signora Alba Crea,
insegnante al Conservatorio di Messina, docente di Storia della
musica per diversi anni anche nella nostra Università e apprezzata
autrice di saggi in quest’ambito.
Ma
ciò che colpiva particolarmente in questo studioso
autentico, era non solo la sua acutezza e la produzione di centinaia
di ricerche di valore in campo storico e artistico, ma, anche e
soprattutto, la sua estrema generosità nel supportare gli studi
degli altri, che seguiva con l'identica passione con cui portava a
termine i suoi: elemento molto raro a Messina. La sua disponibilità
era illimitata e più volte mi raccontò di ricevere telefonate da
persone, anche del tutto sconosciute, che gli chiedevano un aiuto per
le proprie ricerche o pubblicazioni, alle quali non diceva mai di no:
forse perché alla base di tutto c’era sempre la curiositas;
ma soprattutto perché pensava come fosse assurdo il comportamento di
tanti intellettuali e appartenenti al mondo accademico, gelosissimi
delle loro scoperte, che tenevano rigorosamente per sé, timorosi di
“furti”.
Mi
resta il piacere di possedere almeno una pubblicazione in cui ho
avuto l’onore di averlo a fianco, quasi due anni fa: la prima
traduzione completa dal latino (effettuata assieme al prof. Giuseppe
Puzzello) della Messana
illustrata del gesuita
del Seicento Placido Samperi, riguardo alla quale, oltre a compilare
da par suo i preziosi indici analitici che ne consentono una
consultazione rapida ed efficace, fu, come al solito, largo di
consigli, in veste di coordinatore editoriale, contribuendo pure,
come sempre, ad una splendida e riuscitissima presentazione nella
Sala delle Bandiere del Comune.
Ma
ho anche il cruccio, purtroppo, di non averlo potuto vedere
pienamente partecipe di un’altra nostra fatica in corso: una
nuovissima traduzione, sempre dal latino, del Compendio
di storia della Sicilia
di Francesco Maurolico; ed ogni pagina di essa da noi lavorata ce lo
ricorda amaramente.
Era
davvero uno studioso “anomalo” Giovanni Molonia: anomalo per il
suo sapere, che gli consentirà un posto stabile nella memoria
storica di questa città (intitolargli una strada o una piazza
sarebbe il minimo!); anomalo, però, anche e soprattutto, per la sua
umanità, per la quale non può che rimanere nel cuore di chi, come
me, avrebbe desiderato conoscerlo come vero amico assai prima, magari
da sempre.
Felice
Irrera