De
gustibus. Al
nostro severo recensore questo volume proprio non è andato giù
Qualcuno
dei nostri ventiquattro lettori ricorderà forse il film Non
aprite quella porta (The
Texas Chainsaw Massacre)
che diede inizio ad una pluriennale serie cinematografica di
film horror consistente,
oltre che in film, anche in fumetti e videogiochi, di cui era
protagonista un feroce serial
killer.
Ci è venuto in mente di parafrasare quel titolo scorrendo un libro ritrovato, su una bancarella dell’usato, un po’ maltrattato, ma ancora leggibile, benché con parecchi appunti, sottolineature e punti interrogativi: Messina la capitale dimenticata, Editrice Magenes, 2018.
Ci è venuto in mente di parafrasare quel titolo scorrendo un libro ritrovato, su una bancarella dell’usato, un po’ maltrattato, ma ancora leggibile, benché con parecchi appunti, sottolineature e punti interrogativi: Messina la capitale dimenticata, Editrice Magenes, 2018.
Non
nego che il fatto di una prefazione al volume (di più di 300
pagine), scritta da Pino Aprile, da me letta subito prima di
procedere all’acquisto, unitamente all’aletta di copertina (che
definiva l’autore come etno-storico e scrittore messinese), e al
prezzo (soli € 4,00, contro i 20 € del prezzo originario), mi
abbiano convinto.
Mi
sembrava poi anche di aver sentito qualche volta il nome dell’autore,
Alessandro Fumia, in occasione di qualche sua conferenza.
Insomma,
non feci caso più di tanto alle sottolineature alle quali ho
accennato sopra, agli interrogativi e alle annotazioni (tutte, però,
rigorosamente a matita, come si conviene) che costellavano il libro e
lo acquistai.
Mal
però me ne incolse (Era
meglio morire da piccoli
recita una canzone!) e dopo averlo stoicamente letto, capii che
l’ignoto primo acquirente del libro, liberandosi di esso, aveva
veramente voluto fuggire da un mostro! Mi limito a trascrivere un
paio di note del malcapitato (che mi ha in pratica suggerito la
metafora del titolo): “Un vero e proprio feroce serial
killer della
grammatica e della sintassi italiana,
collezionista,
invece
che di cadaveri, di gerundi e passati prossimi, che usa, per
sezionare le sue numerosissime vittime, cioè interi periodi,
l’affilatissima motosega dell’improvvisazione
linguistica
e ortografica e della pervicace ripetizione concettuale”; “l’autore
converte in paccottiglia informe i tanti documenti che, con un
impegno degno di migliore interprete, è andato raccattando negli
archivi del regno, cosiddetto duo siciliano” (è effettivamente suo
vezzo chiamare così il regno borbonico del sud!).
Si
potrebbe credere che simili giudizi stroncanti siano esagerati: per
dimostrarne la veridicità basta, però, com’è capitato a me,
leggere il libro del “neo-borbonico autore di tale poltiglia
pseudostorica” (è sempre l’incauto primo acquirente del volume
che così lo definisce), “appartenente a quella schiera di ingenue,
facili vittime di astuti marpioni che affibbiano loro degli autentici
mattoni come questo”.
Per
quanto specificamente mi riguarda, devo dire, in verità, che a tale
manipolabile compagnia, ahimè, si è rivolto coi suoi libri lo
stesso ammiccante prefatore di questa davvero lacrimevole
pubblicazione, Pino Aprile, che crede (o forse cerca solo di far
credere?) in un meridione sempre sfruttato dal nord egemone, ma mai
si chiede le cause profonde di quest’egemonia; o meglio, pensa di
trovare tale risposta semplicemente nell’azione, che, ad onor del
vero, anche per noi fu un vero e proprio esercizio di banditismo,
grazie al quale i Savoia, aiutati da un impero inglese che cercava un
grande mercato per le sue merci, si annessero il resto della
penisola.
Vada
indietro
nel tempo, caro Aprile, e faccia
altrettanto anche Lei,
esimio “etno-storico” Fumia, e scoprirete
che i popoli, da un lato, fanno la storia sempre eterodiretti,
guidati da élites
di vario genere; e dall’altro dipendono dalla storia stessa, per
cui, se i meridionali hanno sempre subito dominazioni esterne ciò
nasce (e ci riferiamo all’ultimo millennio) perché non hanno
conosciuto, per via delle diverse signorie subite, ultima proprio
quella borbonica, lo sviluppo comunale del centro-nord, che, con
tutti i suoi limiti, che sono poi quelli dell’uomo, ha permesso, a
loro sì, di avere una coscienza di cittadini!
Adesso
il riscatto del sud (e di Messina in particolare) verrebbe, esimio
scrittore (“fumoso” lo chiama l’ignoto commentatore con un
gioco di parole non so quanto voluto), dall’angusto
provincialismo
di quanti pensano ai trascorsi fasti di una città che da tanti anni
ormai è in ginocchio?
Dobbiamo
ancora far riferimento, come qualcuno, tempo fa, incominciò a fare
dagli schermi televisivi di un’emittente locale, ad una
“messinesità” in realtà assolutamente inesistente proprio per
gli eventi storici che, se anche essa ci fosse stata, l’avrebbero
annientata?
Rimbocchiamoci
le maniche, piuttosto; e cerchiamo d’insegnare un po’ di civismo
ai nostri simili soprattutto con l’esempio, che consiste anche nel
non ammantarci di titoli e meriti che assolutamente non abbiamo, né
accademici, né acquisiti con un lavoro autonomo, ma privo di
qualità, come quello in cui ci siamo questa volta imbattuti.
L’ignoto
primo lettore di questo povero libro, pieno solo, come lui dice, di
“prosopopea autoincensante”, ha voluto, dandolo via, liberarsi di
un fardello
di “sciocchezze mal assortite”:
noi, credendo di essere con ciò nel giusto, cerchiamo di affrancarci
dalla vanagloria!
Felice
Irrera