martedì 23 aprile 2019

GIOVANNI MOLONIA, UNO STUDIOSO SENZA PARI

"Colpiva non solo la sua acutezza e la produzione di centinaia di ricerche di valore in campo storico e artistico, ma, anche e soprattutto, la sua estrema generosità nel supportare gli studi degli altri, che seguiva con l'identica passione con cui portava a termine i suoi: elemento molto raro a Messina"

"Commemorare" è una parola enfatica che certo a Giovanni Molonia non sarebbe piaciuta; e conoscendo il suo atteggiamento di rifiuto verso ogni retorica e la sua personale ritrosia di fronte a qualsiasi riconoscimento, so bene che, anche post mortem, avrebbe gradito, secondo la sua innata modestia, la moderazione dei toni.

Così, per qualche mese, ho taciuto, proprio per allontanare per un po’ quel sospetto di unzione liturgica che accompagna ogni commemorazione; poi ho pensato di rivalutare, invece, l'etimologia del termine "commemorare", connettendolo ad un uso nobile della memoria: una celebrazione da compiere, senza orpelli, facendo parlare il proprio cuore che, se interrogato, risponde sempre.
Ricordare a bassa voce, nel proprio profondo, un caro scomparso, fa davvero assumere alla parola un significato ed una dignità accettabile anche da Giovanni ed è quindi possibile venir meno al suo costante desiderio di riservatezza, interpretando pure, adesso, la volontà di un’intera comunità che lo ha conosciuto ed apprezzato.
È per tutto questo che, mentre il tempo va implacabilmente, ma umanamente, lenendo il dolore provocato dall’improvvisa scomparsa di Giovanni, pur avvertendo ancora come un sopruso il categorico vuoto dell’assenza fisica di un amico affettuoso, mi sento adesso di ricordarlo.
Studioso impareggiabile e schivo di palcoscenici, Giovanni era innamorato della sua città, alla quale, pur scorgendone i tanti difetti, ha dedicato tutta una vita di studi; e chi gli è stato amico può sinceramente testimoniare di aver attinto da lui, dal suo sapere e dalla sua umanità, da quella sua ansia continua di ricerca, che è poi segno distintivo, giusto e sacro nell'uomo.
Della nostra città discutevo spesso con lui, ma non della Messina entità geografica, che, pur bellissima nella sua storia e nei suoi miti, fatica ancora a rinverdire nella contemporaneità anche solo una parte dei fasti di un tempo; ma della civitas, della sua cittadinanza che oggi appare in gran parte priva d’identità, ripiegata nel ricordo, tutto provinciale e non storicizzato, quasi che solo per questo le si dovesse rendere omaggio da parte del resto del mondo.
Di questo e di molto altro parlavamo con Giovanni, dall’innata modestia nonostante l’enorme e prestigiosa mole degli scritti per i quali era conosciutissimo, quando, quasi ogni martedì (prima che lui si recasse all’Archivio Storico del Comune per svolgervi il suo compito di “esperto non retribuito”), c’incontravamo al bar Ajello e ordinavamo al gestore, secondo le stagioni, una granita o un cappuccino, sedendo ad un tavolino che ci permetteva di ammirare, alla parete in fondo, qualche nuova creazione di Pietro Mantilla.
Erano per me momenti di vero piacere intellettuale, quelli in cui mi parlava delle sue esperienze, dei suoi studi, dei suoi ricordi, trasmettendomi quel desiderio di conoscere, quell’intensa e irrefrenabile curiositas che ha contraddistinto tutta la sua vita, fin da quando, ragazzo, acquistava alla libreria Ciofalo i volumetti a buon mercato della Biblioteca Universale Rizzoli: quell’ansia di sapere non lo abbandonò mai e non si esercitava soltanto, come si può credere, in campo storico, artistico o musicale, dove era un maestro, ma anche in campo letterario, dove non mancava di seguire le nuove iniziative editoriali: ultima la bella edizione, della Salerno, della Divina Commedia, opera che entrambi consideravamo il più grande capolavoro della letteratura mondiale, da leggere proprio da parte di tutti e che, invece, malinconicamente, perdeva sempre più spazio nelle scuole italiane, come se fosse ormai “sorpassata”.
Sì, perché anche di scuola si parlava con Giovanni, che con quelle istituzioni cercava sempre d’intrattenere rapporti, offrendosi d’incontrare i ragazzi, anche i più piccoli, per far loro imparare ad amare quei libri che erano il suo tesoro e la sua vita; per dialogare con gli studenti più grandi, con passione e slancio, su fatti e personaggi di quella storia messinese di cui era assoluto padrone.
   All'Archivio Storico e alla Biblioteca Cannizzaro riusciva, con l’aiuto di un personale che gli si era affezionato, lo apprezzava e quindi lo supportava, ad organizzare eventi nonostante la mancanza di ogni disponibilità economica: non credo sia un segreto da mantenere che quasi sempre era lui stesso a far stampare a sue spese le locandine che servivano per propagandarli.
   Quante opere, poi, negli anni in cui si è occupato dei libri di questo Comune da troppi anni allo sbando, è riuscito a stampare traendole dall’oblio in cui erano cadute, dimenticate e chiuse agli studiosi! Basti citare soltanto i tre volumi, da lui ricavati con una meticolosa trascrizione, dal diario di Gaetano La Corte Cailler, e gli altri tre (di cui solo due pubblicati), tratti da un’altrettanto accurata trascrizione da giornali di fine Ottocento e primi Novecento, contenenti i moltissimi articoli disseminati in varie testate da Giuseppe Arenaprimo: ad entrambi questi studiosi e all’opera indefessa di Giovanni dobbiamo ora tante notizie che altrimenti sarebbero rimaste inesorabilmente sepolte in polverosi scaffali.
   Parlava anche con me, che poco ne ero esperto, delle vicende teatrali e musicali della città, che profondamente conosceva da bibliotecario della Filarmonica Laudamo e soprattutto da bravo amante della musica, passione questa che condivideva con la compagna di una vita, la signora Alba Crea, insegnante al Conservatorio di Messina, docente di Storia della musica per diversi anni anche nella nostra Università e apprezzata autrice di saggi in quest’ambito.
Ma ciò che colpiva particolarmente in questo studioso autentico, era non solo la sua acutezza e la produzione di centinaia di ricerche di valore in campo storico e artistico, ma, anche e soprattutto, la sua estrema generosità nel supportare gli studi degli altri, che seguiva con l'identica passione con cui portava a termine i suoi: elemento molto raro a Messina. La sua disponibilità era illimitata e più volte mi raccontò di ricevere telefonate da persone, anche del tutto sconosciute, che gli chiedevano un aiuto per le proprie ricerche o pubblicazioni, alle quali non diceva mai di no: forse perché alla base di tutto c’era sempre la curiositas; ma soprattutto perché pensava come fosse assurdo il comportamento di tanti intellettuali e appartenenti al mondo accademico, gelosissimi delle loro scoperte, che tenevano rigorosamente per sé, timorosi di “furti”.

Mi resta il piacere di possedere almeno una pubblicazione in cui ho avuto l’onore di averlo a fianco, quasi due anni fa: la prima traduzione completa dal latino (effettuata assieme al prof. Giuseppe Puzzello) della Messana illustrata del gesuita del Seicento Placido Samperi, riguardo alla quale, oltre a compilare da par suo i preziosi indici analitici che ne consentono una consultazione rapida ed efficace, fu, come al solito, largo di consigli, in veste di coordinatore editoriale, contribuendo pure, come sempre, ad una splendida e riuscitissima presentazione nella Sala delle Bandiere del Comune.
Ma ho anche il cruccio, purtroppo, di non averlo potuto vedere pienamente partecipe di un’altra nostra fatica in corso: una nuovissima traduzione, sempre dal latino, del Compendio di storia della Sicilia di Francesco Maurolico; ed ogni pagina di essa da noi lavorata ce lo ricorda amaramente.
Era davvero uno studioso “anomalo” Giovanni Molonia: anomalo per il suo sapere, che gli consentirà un posto stabile nella memoria storica di questa città (intitolargli una strada o una piazza sarebbe il minimo!); anomalo, però, anche e soprattutto, per la sua umanità, per la quale non può che rimanere nel cuore di chi, come me, avrebbe desiderato conoscerlo come vero amico assai prima, magari da sempre.
Felice Irrera








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