venerdì 7 maggio 2021

CONCRETA PRESENZA NELLA POESIA CONTEMPORANEA

Lo scavo nel mistero della vita di Marisa Pelle


Pensiero, luce ed ombra, memoria, musica e la parola che tenta solo di “trattenere/le pagliuzze d’oro frammiste/a fango” che la vita pur dona, attraverso i suggerimenti di opere d’arte degli artisti più diversi, capaci di indicare alla sensibilità del poeta non la strada da percorrere, poiché l’esistenza è “estasi e mistero intraducibile/in un baluginio di nebbia”, ma di ritagliare al tempo “scampoli di luci ed ombre” e di cogliere “cartigli di vita”, anche se alla parola non è concesso “dire/se non per frammenti” ed essa “s’inerpica sul ciglio della strada” e “si fa ala all’umana/finitudine”.

Crediamo sia questa la poetica che emerge ora, più che mai chiara, dal lungo e coerente itinerario da più di trent’anni ormai costruito con acuta sensibilità nelle sue varie sillogi da Marisa Pelle da una posizione appartata, ma forse proprio per questo indenne da mode passeggere. 

Ed eccola offrire ora agli appassionati di poesia la sua ultima creatura, “Lungo il peribolo” (Besa, 2021), che reca un’ampia prefazione di Merys Rizzo.

Si tratta di sessantaquattro liriche che già nel titolo (il “peribolo” è il sacro recinto degli antichi templi) indica una chiara continuità con la precedente produzione, perché è proprio la concezione, chiara nell’autrice, della sacralità della parola ad emergere ancora una volta.

E una volta di più questa visione si esplica grazie ad un lessico prezioso, ricercato, diremmo quasi distillato, che attraversa tutte le liriche, in gran parte ispirate dalla visione di opere d’arte di vari autori e Paesi.

È proprio qui che si esprime una straordinaria capacità poetica nel coniugare parola e materia artistica, toccando spesso vette che possono sembrare parnassiane, per quel tanto che lo scopo della scrittura, che è poi conforto nell’esistenza, sembra essere solo quello della bellezza. 

Ma non sono solo le architetture antiche, che hanno sfidato i secoli a suggerire immagini di sogno, ad intessere d’oro i ricordi di una classicità sempre presente, a dare agio alla memoria di oltrepassare il tempo, ma anche particolari opere di artisti moderni che, rivissute con ancora più moderna e soprattutto particolarissima sensibilità, colorano di trame sempre nuove le parole, alla ricerca di un significato e magari di un varco nella rete che ci avvolge:

Urna d’acqua alla vita mesce

la parola

che in un tempo sospeso recita

un assolo gravido d’immenso”

Il sole, la luce, col suo “fremito sublime” e coi suoi tagli, mentre ad essa si alternano le ombre, ci disegnano “funamboli in bilico sulla corda/della vita” che “per invisibili fili all’eterno/aneliamo”, mentre “fugge indistinta la sera degli anni/su ampie frange di crepuscolo”.

Freddo il sole del ricordo brucia” e l’esistenza non lascia che “schegge a scaglie”, “in un silenzio che è polvere/di anni”. Eppure, “discosta i rami ad uno ad uno/la parola/su profili lontani desueti/d’inedita bellezza”, “si fa ala all’umana/finitudine... /sul silenzio calcinato/d’una soglia/d’un muro di confine”.

Da un lato il poeta, dunque, ribadisce che “come i marinai delle barchette/alla deriva smarriti/scrutiamo tra i vortici/l’abisso di dolore di morte/sotto l’onda gigantesca che incombe”; perché è “estasi e mistero intraducibile/in un baluginio di nebbia/la vita” e “unici attori d’un carro di Tespi/sperso in un mondo che assiste/al suo frantume/scriviamo con inchiostro bianco”; ma, dall’altro, conferma anche in questa nuova silloge il conforto, se non la fede, che viene da una scrittura sempre preziosa, grazie ad una scelta accurata di vocaboli, talora arcaici, difficili o rari, alla ricerca sempre della pregnanza.

Oltre ai temi suggeriti quasi sempre dall’osservazione di preziose opere d’arte (da De Pisis a El Greco, da Van Gogh a Munch, da Magritte a Kandinsky, da Morandi a Monet e a molti altri); diversi spunti nascono, con eguale vibrante sensibilità, dall’osservazione della natura (il mare, il cielo, il vento, le piante, i fiori), dal ricordo di un amico scomparso, della madre, dei genitori, di migranti naufraghi, dei “Giusti dell’umanità”.

E intanto:

Si sottende inalterato un murmure

costante

il suono della vita”.

Un filo evidente lega la meditazione sull’esistenza, che è il motivo conduttore di quest’ultima silloge, alle precedenti raccolte, che anch’esse, con il loro registro sempre elevato, con l’osservazione non superficiale e fotografica, ma intensa e partecipata della natura, tesa alla ricerca dell’universale nel particolare, si volgevano costantemente verso una meditazione, ora più energica, ora quasi dolente, sull’esistenza e sul tempo, non mancando, per altro, di aprire qua e là alla storia.

D’altronde, lo stesso legame, scoperto ed evidenziato continuamente dall’autrice, tra poesia e arte, le consente ormai quelle pitture e architetture di parole che ella delinea nelle sue liriche.

E la poesia serve a Marisa Pelle per uno scavo non solo nella sua esistenza, ma in quella di tutti noi che, troppo spesso impegnati in una non-vita, sfuggiamo anche a pochi attimi di meditata osservazione ed ascolto di ciò che ci circonda.


Felice Irrera

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