venerdì 22 gennaio 2021

UN GRANDE FILOLOGO DIMENTICATO. VALGIMIGLI E MESSINA

Nel febbraio di molti anni fa (era il 2003), ebbi occasione di presentare, nella biblioteca del Liceo “Maurolico” di cui ero allora responsabile, il carteggio ancora inedito tra Salvatore Quasimodo e Manara Valgimigli, curato da Peppino Pellegrino (poi scomparso il 4 aprile 2012, all’età di 89 anni), docente di lettere classiche e poi preside, credente convinto e intellettuale cattolico di alta statura, che diede vita alla casa editrice SPES, contribuendo con il suo sapere e le sue pubblicazioni alla conoscenza di tanti uomini di cultura a livello nazionale come Federico Sciacca, Filippo Bartolone, Vittorio Enzo Alfieri.

In quell’occasione, prima di cedere la parola al caro prof. Pellegrino, ebbi modo di illustrare brevemente la figura di Manara Valgimigli, uno dei tanti illustri docenti che diedero fama a quel Liceo “Maurolico” che, unico in Italia, reca il nome dell’illustre scienziato e che è pure il primo liceo classico nato nel territorio messinese.

Mi piace ricordare quanto allora dissi perché posso accomunare per un momento due di quegli uomini di alta cultura, di cui l’Italia in questo momento avrebbe tanto bisogno.

Così allora brevemente presentai la figura di Valgimigli:

È un vero piacere ricordare qui brevemente Manara Valgimigli, dotto filologo, fine esegeta, arguto narratore, un vero maestro, insomma, perché fu uno dei più illustri docenti del nostro Liceo e come pochi altri legato da vincoli d’affetto a Messina.

Laureatosi nel 1898 a Bologna, dove ebbe maestri, fra gli altri, Carducci e Gandino, venne poco dopo a Messina ad insegnare Lettere al Ginnasio pareggiato del Convitto “Dante Alighieri”, grazie alla segnalazione di Giovanni Pascoli che c’era lì bisogno di un insegnante. Durante gli anni di quel primo soggiorno nella nostra città frequentò spesso la casa del Pascoli, allora professore ordinario di Letteratura latina nel nostro Ateneo.

Nel 1904 Valgimigli lasciò Messina per insegnare a La Spezia e Lucera, ma alcuni anni dopo, nel novembre del 1909, ritornò volontariamente in città come professore di latino e greco al Maurolico, che naturalmente aveva subito la terribile distruzione del terremoto e aveva una sede baraccata. Così egli racconta quell’esperienza:

Avevo chiesto io di ritornare. “Stanno riaprendo il Liceo” mi dissero al Ministero. In realtà avevano appena incominciato a costruirlo. C’erano di gran travature, e palchi, e un andare e venire di falegnami, e pialle e seghe e martelli e trucioli e casse di chiodi; in una specie di stanza ancora senza finestre e col tetto non anche ricoperto, il segretario Felici aveva raccolto alla meglio quel che di registri e documenti aveva potuto salvare dal vecchio Liceo rovinato”1.

La Biblioteca del Liceo Maurolico oggi

Al Maurolico Valgimigli insegnò fino a tutto il 1913. Descrive in alcune vivaci pagine narrative la vita che allora visse “in baracca”. La moglie e la figlia lo aspettavano

verso mezzogiorno, fuori dalla porta di casa, nella strada. La vita di baracca era anche molto vita di strada. Mi venivano incontro col boccale dell’acqua, perché si andava insieme a riempirlo alla fontana per il desinare”.

Lì, in quella baracca di legno in fondo al Viale San Martino veniva a trovarlo Giorgio Pasquali, che poi sarebbe stato uno dei più illustri filologi italiani e che allora insegnava all’Università e lì s’intratteneva spesso con parecchi amici messinesi.

Valgimigli ritornò un’altra volta nella “sua” Messina nel 1921, come professore universitario di letteratura greca, rimanendovi fino al 1924, prima di continuare la sua carriera a Pisa, a Padova e poi a Ravenna, dove diresse la “Biblioteca Classense”. Concluse la sua vita in provincia di Bergamo nel 1965.

Forse nessuno dei forestieri ospitati dalla nostra Università o dalle nostre scuole conservò come Manara Valgimigli un ricordo di Messina così caro e costante verificabile da parole come queste:

Non sono legato a nessun’altra terra, a nessun’altra città, di così vivo e tenero amore come a questa. Tutte le tappe del mio mestiere di maestro di scuola le ho incominciate lì: dalla prima, quasi ragazzo, in un ginnasietto di collegio, fino all’ultima. Quivi nacque un mio bimbo: quivi crebbe una mia figliolina”2.

E più in là:

Il messinese schietto ha una sua aristocrazia che io non saprei in Italia ritrovar simile se non in qualche città del Veneto; non solo formale, ma signorile nell’intimo; e fastidio e ripudio assoluto di ogni pedanteria e grettezza; e in più una generosità che è propria del sangue siciliano, sostenuta da un senso superiore della vita, tra rassegnato e malinconico e amaro, il quale risale, credo, molto lontano, e forse muove dalla stessa sorgente a cui nutrirono il loro sorriso Socrate e i grandi sofisti”3.

Per queste parole, per l’affetto dimostrato nei confronti di Messina, per il suo impegno di maestro al “Maurolico” abbiamo voluto brevemente ricordarlo, giovandoci delle belle pagine scritte su di lui da Giuseppe Sciarrone, che nel 1961, in occasione del centenario della fondazione del “Maurolico”4.

Questa la mia rievocazione di allora.

Adesso, ad incrementare questo mio ricordo di un grande, mi vien tra le mani un articolo del giornalista Gigi Ghirotti, scomparso nel 1974, dal titolo “Un grecista in convento”, che tratta proprio di Valgimigli, il quale nel 1942 si trovava a Ravenna, dove quest’illustre traduttore dei classici viveva in una cella di antichi frati, inconsapevole che nel 1948, andato in pensione, sarebbe stato chiamato nella stessa città, per chiara fama, alla direzione, come già detto nella mia presentazione, della Biblioteca Classense, dove sarebbe poi rimasto fino al 1955.

Ghirotti ribadisce che fu proprio Pascoli, professore di latino all'Università di Messina, a chiamare Valgimigli, ancor fresco di laurea, nella città dello Stretto nel 1898, ad inse­gnare nel ginnasio della città sici­liana, aggiungendo il particolare che egli vi arrivò 

in vagone di terza classe, avvolto in un cappottuccio da pochi soldi, ricco di santi entusiasmi per la poesia”.

E continua ancora il giornalista, raccontando di lui nuovi particolari:

 “L'a­micizia con Giovanni Pascoli diven­ne affettuosa intimità. Nel poeta, già affermato per le sue poesie italiane e già premiato ad Amsterdam per i poemetti lati­ni, rimaneva il rimpianto di non poter dedicare più tempo allo stu­dio dei poeti greci, e di questo ram­marico parlava spesso al giovane Valgimigli. Il quale un giorno, usci­to da lezione, annunciò al Pascoli: «Mi do al greco. Ho deciso». Da quel giorno incominciò il grande ciclo della revisione critica dei te­sti classici e della moderna inter­pretazione del mito ellenico: di que­sta fatica, durata mezzo secolo, la scuola italiana è stata testimone (...). A 76 anni, senza più nessuno al mondo, il vecchio professore conti­nua a leggere e a vivere accanto ai suoi poeti (...). Non più scolaresche inquie­te gli sono affidate, ma grandi sale mute, odorose di libri, stipate di libri. Con un mazzo di chiavi alla cintola, vestito di un camice bian­co, Manara Valgimigli, simile ad un candido priore camaldolese, passeg­gia in quel suo regno assorto; due volte al giorno va a visitare le celle, fitte di codici e volumi secolari”.

A proposito della sua traduzione dei Carmina di Giovanni Pascoli (Milano, 1951), Ghirotti recupera, infine, nel suo articolo, ancora un gustoso aneddoto, riguardante indirettamente Messina:

 “Talvolta, le incertezze non lo lasciavano dormire. Per esempio, un verso latino del Pa­scoli parlava della "rugiada della barchetta". Fatto appello a tutte le risorse della filologia, il rompicapo rimaneva tale e quale: che cos'ave­va voluto dire il poeta? Finalmen­te, come per un'improvvisa illumi­nazione, Valgimigli ricordò che spesso il Pascoli nelle sue passeg­giate serali a Messina gli aveva in­dicato la luna chiamandola "la bar­chetta" o anche "la navicella del cielo", per la sua forma arcuata. E venne facile allora la traduzio­ne: "la rugiada lunare".

 E venne facile allora la traduzio­ne: "la rugiada lunare".

Sarebbe troppo chiedere che a questo illustre filologo, che diversi anni dimorò nella nostra città, impartendo la sua vastissima dottrina a studenti liceali del prestigioso “Maurolico” e ad universitari e citò più volte con affetto Messina nelle sue opere, fosse intitolata almeno una strada?

Felice Irrera

1 M. Valgimigli, Il Mantello di Cebète, Milano, 1952, p. 53.

2 Ibidem, p. 54 sgg.

3 Ibidem, p. 55

4 Cfr. G. Sciarrone, Il Liceo-Ginnasio “Francesco Maurolico” di Messina, Messina, 1961, pp. 139-142.

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