Curiosando
tra gli appunti di Gaetano La Corte Cailler all’Archivio Comunale
di Messina
Tra
le carte manoscritte di La Corte Cailler in possesso dell’Archivio
“Nitto Scaglione” del Comune di Messina, abbiamo avuto la ventura
di ritrovare, in un fascicolo contrassegnato dalla lettera M, un suo
appunto, in cui lo studioso annota come Letterio Lizio-Bruno assicuri
che al cadavere di Francesco Maurolico, che dovrebbe ancora oggi
essere conservato nella chiesa di San Giovanni di Malta, manchi la
testa, che giovò a Giuseppe La Farina per gli studi frenologici.
Cosa non si fa per la scienza e
la patria?!
Rimessici
dalla sorpresa (che un buontempone direbbe poter fornire una
spiegazione, ancorché inconscia, agli annosi insanabili conflitti
fra i due licei classici statali della città!), servendoci di un
preciso riferimento dello stesso La Corte Cailler ad un fascicolo
dell’ “Archivio Storico Messinese” (1906, p. 208, nota 4)
contenente l’articolo di Lizio-Bruno con la nota oggetto della sua
attenzione, abbiamo rintracciato l’articolo stesso, che reca il
titolo “Il Petrarca e Tommaso da Messina”, da cui trascriviamo
alla lettera:
![]() | ||
Lizio-Bruno testimone della vicenda |
“A
proposito di sepolcri violati, dirò che nel 1852 o 53 in casa La
Farina in Messina io abbia veduto un gran teschio, su cui erano
attaccate delle striscioline di carta, ove in carattere minutissimo
l’insigne Giuseppe di quella famiglia aveva fatto, quand’era
giovane, i suoi studi frenologici, con lo scriverci i nomi anatomici
corrispondenti ai vari punti del teschio. E seppi allora ch’esso
era stato sottratto (nella Collegiata Chiesa di San Giovanni) al
sepolcro del secondo Archimede, Francesco Maurolico, gloria somma
d’Italia, il quale sepolcro è nella navata destra della Chiesa
anzidetta”.
Sull’attendibilità
della testimonianza di Lizio-Bruno non possono esistere dubbi, come,
del resto, sulla sua serietà di studioso, che qualcuno di noi
aveva
già cominciato a conoscere sui banchi del Maurolico,
grazie a quanto di lui scrisse, sull’annuario 1960-61 del
“Maurolico”, il suo
professore d’Italiano, Giuseppe Sciarrone, che nel medaglione
dedicatogli lo annoverò tra i primissimi insegnanti di quella
scuola, definendolo “pubblicista, patriota, poeta,
storico, squisito traduttore dal greco e dal latino, folklorista,
bibliografo, dantista, epigrafista, scrittore di letteratura
infantile”. Oltre che essere insegnante del “Maurolico”,
Lizio-Bruno fu pure effettivamente amico della famiglia La Farina,
com’è testimoniato anche dal fatto che dettò questa lapide per la
sua tomba:
IN
QUEST'ARCA PER DECRETO DELLA PATRIA / RIPOSA LA SALMA DI GIUSEPPE LA
FARINA / UOMO IN CUI LE VIRTU' DELL'INGEGNO EMULARONO QUELLE DEL
CUORE /LETTERATO STORICO POLITICO / APOSTOLO DELL'INDIPENDENZA E
UNITA' ITALIANA / ESULE E SOLDATO /COSPIRATORE MAGNANIMO E GOVERNANTE
/ NACQUE IN MESSINA IL 20 LUGLIO 1815 / MORI' IN TORINO IL 5
SETTEMBRE 1863
Dunque,
sicuramente un tale personaggio non può essere tacciato di mendacio
né di partigianeria riguardo a quanto sopra descritto.
La tomba di Maurolico |
C’è
da dire, d’altra parte, che il rispetto per i morti non faceva
parte del DNA anche di tanti che, oltre agli studiosi, avrebbero bene
dovuto averlo: ce ne accorgiamo nello stesso articolo succitato di
Lizio-Bruno.A
proposito di Tommaso Caloria (o Caloiro), amico del Petrarca, che
dedicò al poeta messinese alcune lettere delle “Familiari”,
scrive Lizio-Bruno (pp.207-208): “Ebbe sepoltura nell’antichissima
Chiesa del Carmine, ch’era nella via già chiamata dei
legnaiuoli (e poi fu detta Pozzo Leone), ma le sue ceneri
non vi stettero in pace lungo tempo, come si legge nella Messina
descritta1
di Giuseppe Buonfiglio Costanzo; il
quale, toccando del sepolcro di Costantino Lascari, che, com’è
noto, morì in Messina (dove tenne una scuola di greco riputatissima)
scrisse così:
‘Non
si vede per cortesia de’ Frati, che buttate via l’ossa,
convertirono in altr’uso la cassa del marmo dove giacevano e
parimenti, dell’illustre Pittore Polidoro e di quel Tommaso
Caloria, celebre per il verso del Petrarca’2.
Come
dire “i morti son morti” e di tombe c’è sempre bisogno.
Felice Irrera
e
Giuseppe Iannello
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