lunedì 2 settembre 2019

TRA TESCHI, TOMBE VIOLATE E VARIA DIS-UMANITÀ

Curiosando tra gli appunti di Gaetano La Corte Cailler all’Archivio Comunale di Messina

Tra le carte manoscritte di La Corte Cailler in possesso dell’Archivio “Nitto Scaglione” del Comune di Messina, abbiamo avuto la ventura di ritrovare, in un fascicolo contrassegnato dalla lettera M, un suo appunto, in cui lo studioso annota come Letterio Lizio-Bruno assicuri che al cadavere di Francesco Maurolico, che dovrebbe ancora oggi essere conservato nella chiesa di San Giovanni di Malta, manchi la testa, che giovò a Giuseppe La Farina per gli studi frenologici. Cosa non si fa per la scienza e la patria?!
Rimessici dalla sorpresa (che un buontempone direbbe poter fornire una spiegazione, ancorché inconscia, agli annosi insanabili conflitti fra i due licei classici statali della città!), servendoci di un preciso riferimento dello stesso La Corte Cailler ad un fascicolo dell’ “Archivio Storico Messinese” (1906, p. 208, nota 4) contenente l’articolo di Lizio-Bruno con la nota oggetto della sua attenzione, abbiamo rintracciato l’articolo stesso, che reca il titolo “Il Petrarca e Tommaso da Messina”, da cui trascriviamo alla lettera:
Lizio-Bruno testimone della vicenda

A proposito di sepolcri violati, dirò che nel 1852 o 53 in casa La Farina in Messina io abbia veduto un gran teschio, su cui erano attaccate delle striscioline di carta, ove in carattere minutissimo l’insigne Giuseppe di quella famiglia aveva fatto, quand’era giovane, i suoi studi frenologici, con lo scriverci i nomi anatomici corrispondenti ai vari punti del teschio. E seppi allora ch’esso era stato sottratto (nella Collegiata Chiesa di San Giovanni) al sepolcro del secondo Archimede, Francesco Maurolico, gloria somma d’Italia, il quale sepolcro è nella navata destra della Chiesa anzidetta”.
Sull’attendibilità della testimonianza di Lizio-Bruno non possono esistere dubbi, come, del resto, sulla sua serietà di studioso, che qualcuno di noi aveva già cominciato a conoscere sui banchi del Maurolico, grazie a quanto di lui scrisse, sull’annuario 1960-61 del “Maurolico”, il suo professore d’Italiano, Giuseppe Sciarrone, che nel medaglione dedicatogli lo annoverò tra i primissimi insegnanti di quella scuola, definendolo “pubblicista, patriota, poeta, storico, squisito traduttore dal greco e dal latino, folklorista, bibliografo, dantista, epigrafista, scrittore di letteratura infantile”. Oltre che essere insegnante del “Maurolico”, Lizio-Bruno fu pure effettivamente amico della famiglia La Farina, com’è testimoniato anche dal fatto che dettò questa lapide per la sua tomba: IN QUEST'ARCA PER DECRETO DELLA PATRIA / RIPOSA LA SALMA DI GIUSEPPE LA FARINA / UOMO IN CUI LE VIRTU' DELL'INGEGNO EMULARONO QUELLE DEL CUORE /LETTERATO STORICO POLITICO / APOSTOLO DELL'INDIPENDENZA E UNITA' ITALIANA / ESULE E SOLDATO /COSPIRATORE MAGNANIMO E GOVERNANTE / NACQUE IN MESSINA IL 20 LUGLIO 1815 / MORI' IN TORINO IL 5 SETTEMBRE 1863
Dunque, sicuramente un tale personaggio non può essere tacciato di mendacio né di partigianeria riguardo a quanto sopra descritto.
La tomba di Maurolico
C’è da dire, d’altra parte, che il rispetto per i morti non faceva parte del DNA anche di tanti che, oltre agli studiosi, avrebbero bene dovuto averlo: ce ne accorgiamo nello stesso articolo succitato di Lizio-Bruno.A proposito di Tommaso Caloria (o Caloiro), amico del Petrarca, che dedicò al poeta messinese alcune lettere delle “Familiari”, scrive Lizio-Bruno (pp.207-208): “Ebbe sepoltura nell’antichissima Chiesa del Carmine, ch’era nella via già chiamata dei legnaiuoli (e poi fu detta Pozzo Leone), ma le sue ceneri non vi stettero in pace lungo tempo, come si legge nella Messina descritta1 di Giuseppe Buonfiglio Costanzo; il quale, toccando del sepolcro di Costantino Lascari, che, com’è noto, morì in Messina (dove tenne una scuola di greco riputatissima) scrisse così:
Non si vede per cortesia de’ Frati, che buttate via l’ossa, convertirono in altr’uso la cassa del marmo dove giacevano e parimenti, dell’illustre Pittore Polidoro e di quel Tommaso Caloria, celebre per il verso del Petrarca’2.
Come dire “i morti son morti” e di tombe c’è sempre bisogno.


Felice Irrera
e Giuseppe Iannello






1Venezia, 1606; poi Messina, 1738.
2 Così scriveva nel 1606 Buonfiglio; ma Caio Domenico Gallo, che lo cita continuamente, a p. 183 dell’Apparato agli Annali (1756), parlando della chiesa del Carmine scrisse: in essa chiesa è sepolto il famosissimo Costantino Lascari (...) come anche l’insigne pittore Polidoro e il celebre Tommaso Caloria”, come se cinquant’anni prima il Buonfiglio non avesse scritto quanto sopra riportato! Temette forse di offendere i Reverendi Padri del suo tempo dicendo la verità? Soltanto nel tomo II degli Annali del 1758 (p. 283 e 416) riferisce le notizie apprese da Buonfiglio”.

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