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Giuseppe Emanuele Ortolani |
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Mons. Raus e Requisens |
Riportato proprio all’inizio del recente volume di Giuseppe Martino “Porto, Privilegi & Pulici” (Terme Vigliatore 2019) incentrato sulla Messina del Settecento, c’è un sonetto ritrovato manoscritto (così scrive l’autore) fra le carte dell’architetto Gian Francesco Arena alla Biblioteca Regionale di Messina e che Martino dice, appunto (non sappiamo se sulla scorta di altre note ritrovate tra quelle carte o di sua completa invenzione), opera di un anonimo settecentesco, dando in tal modo abbrivio al suo libro, che è poi incentrato proprio, come si è detto, sulla Messina del XVIII secolo..
In realtà, l’autore di questo sonetto è ben conosciuto, come testimoniato già due secoli fa dalla “Biografia degli uomini illustri della Sicilia” di Giuseppe Emanuele Ortolani (Napoli 1821, vol. IV), dove si legge proprio un’esauriente biografia di mons. Simone Raus e Requisens, nobile palermitano del XVI secolo, definito dall’autore “poeta leggiadro” non solo in volgare, ma in dialetto, divenuto anche vescovo di Patti: sua è, appunto, una raccolta postuma di “Rime” stampata a Venezia nel 1672, da noi rintracciata, di cui trascriviamo qui l’originale esattamente nella grafia usata nell’opera:
Descrizione encomiastica di Messina
Sorge in teatro: e l'è corona un monte,
Cui l'Alba imperla, e 'l primo Sole indora;
Città, che ’l mare, e 'l Ciel mentre innamora;
Il piè le bacia il mare, il Ciel la fronte.
Quinci rompe il Tirren, l'Ionio à fronte,
Sol per lei vagheggiar l'onda sonora.
Quindi par ch’a vederla, Italia ancora
Affretti i colli, e sovra ’l mar sormonte.
Per lei s'arma Orion di stelle d'oro:
E, à custodirla, entro sassoso laccio
Cariddi, e Scilla incatenò Peloro.
Perché ’n trofeo del lor più alto impaccio,
Qui s'avider, che stanche al gran lavoro,
Posò l'Arte la man, Natura il braccio.
Il sonetto, inserito in una sezione del libro che comprende anche rime amorose, eroiche (appunto la descrizione elogiativa di Messina che abbiamo riportato), lugubri, morali, varie, sacre, e pure frammenti e “canzuni” in siciliano, si trova all’interno di un’opera che, come avverte colui che ne curò allora la pubblicazione secentesca, presenta diverse imperfezioni nei testi, dato che il poeta non “poté dar l’ultima mano … per la sua poca salute travagliato sempre da dolori ipocondriaci”, ma anche a causa degli impegni di governo e della morte che lo raggiunse precocemente.
Il componimento, che è possibile riconoscere come tipicamente barocco per la grafia, il lessico e le ripetute personificazioni delle immagini, colpisce non tanto per un elogio alla città che tanto piace al provincialismo che divora molti nostri concittadini, quanto soprattutto per una particolarità: l’elogio giunge da un cittadino di quella Palermo già da tempo allora in lotta con Messina per la supremazia nell’isola!
Alla Biblioteca Regionale di Messina, se ritiene ne valga la pena, il compito di aggiungere una nota esplicativa (o di correggere, se c’è, quella sbagliata) alle carte che accolgono il sonetto per evitare così l’errore di un altro studioso.
Felice Irrera
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