sabato 20 aprile 2019

CRONACHE DI FINE OTTOCENTO. L'avvelenatrice di Lipari

Diamo inizio ad una nuova serie di articoli dedicati a vicende che hanno fatto particolarmente scalpore a Messina sul finire del XIX secolo. La redazione è di Gerardo Rizzo.

L'avvelenatrice di Lipari

L’8 gennaio 1889 veniva tradotta al carcere di Messina, da Lipari, una certa Angelina Castellano: la donna si era resa protagonista di una vicenda che nei giorni precedenti era stata al centro dell’attenzione della popolazione cittadina. Al suo passaggio, le donne che vivevano nelle vie adiacenti, capendo di chi si trattava, uscirono in strada urlando contro la donna e insultandola, tanto che lei scoppiò in un pianto dirotto, e i carabinieri che la scortavano dovettero intervenire per difenderla.
Disegno di Arianna Aliffi
Ma cosa aveva fatto Angelina Castellano per meritare la galera? Era successo che negli ultimi giorni dell’anno che si era da poco concluso, la signora Maria Leoni, abitante al numero 72 di via del Giglio, nelle vicinanze della chiesa dei Marinai, si vide recapitare un pacco proveniente da Lipari, che conteneva dell’uva passa e un involto di carta con dei dolci. Il tutto era accompagnato da un biglietto, che ammoniva: «Cara Marietta, i dolci li mangerai tu sola senza darne a nissuno, altrimenti non ti voglio più bene, un bacio a Peppinello, molto a te. Firmato: Affezio».
La destinataria del biglietto, però, non diede molto peso a quella raccomandazione e, un po’ perché si era sotto le feste di Natale, un po’ perché dovette prevalere il principio che «occhio non vede, cuore non duole», condivise con i suoi familiari i dolci eoliani.
Avevano mangiato la metà di quei dolci quando Maria Leoni, la madre e la sorella iniziarono ad avvertire terribili dolori al ventre, e a vomitare violentemente. Si rivolsero a un farmacista, che fece prendere loro un vomitivo, ma la loro salute non migliorava.
La madre della Leoni, pur in preda a dolori lancinanti, trovò la forza di andare a sporgere denuncia. Si recò sul posto il viceispettore Filomene con una squadra di agenti di Pubblica Sicurezza, uno dei quali, il vicebrigadiere Canale, durante il sopralluogo, non seppe resistere alla vista dei dolci e prese a mangiarne, venendo assalito anche lui da vomito e atroci dolori al ventre.
La povera Marietta Leoni moriva di lì a poco, la madre e la sorella rimanevano gravi, il Canale se la cavava con poco, in base alla quantità di dolci mangiati, e quindi di veleno ingerito. Rimaneva da stabilire chi e perché avesse potuto perpetrare un così crudele delitto.
Dalle congiunte si venne a sapere che la vittima, vedova, era fidanzata con un certo Castellano di Lipari, e a giorni si sarebbe dovuto celebrare il matrimonio, che però non era ben visto da nessuna delle due famiglie. La prima ipotesi formulata dagli inquirenti fu che si potesse trattare di un delitto commesso da un terzo uomo, innamorato della donna e respinto.
Il cavaliere Restivo, Procuratore del Re, però, cambiava presto direzione alle indagini, e il giorno dopo ordinava l’arresto a Lipari di Angelina Castellano, figlia di quell’Angelo Castellano che avrebbe dovuto impalmare la «vedovella di via Giglio»: costei, vedendo in pericolo la propria eredità, aveva deciso di ricorrere al più drastico dei rimedi, «che le costerà la perdita della sua libertà per tutta la vita».
Nei giorni seguenti l’autopsia avrebbe confermato l’avvelenamento, e veniva diffusa la notizia che il vicebrigadiere Canale e le parenti della vittima erano fuori pericolo.
A Lipari venne tratta in arresto anche tale Francesca Giuffrè, che aveva portato il pacco all’ufficio postale, diventando complice della Castellano. Quest’ultima, come detto in apertura, venne condotta al carcere di Messina, dove avrebbe atteso tra le lacrime il processo che l’avrebbe tenuta dentro per un gran numero di anni.

 Gerardo Rizzo

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