Diamo
inizio ad una nuova serie di articoli dedicati a vicende che hanno
fatto particolarmente scalpore a Messina sul finire del XIX secolo. La redazione è di Gerardo Rizzo.
L'avvelenatrice
di Lipari
L’8
gennaio 1889 veniva tradotta al carcere di Messina, da Lipari, una
certa Angelina Castellano: la donna si era resa protagonista di una
vicenda che nei giorni precedenti era stata al centro dell’attenzione
della popolazione cittadina. Al suo passaggio, le donne che vivevano
nelle vie adiacenti, capendo di chi si trattava, uscirono in strada
urlando contro la donna e insultandola, tanto che lei scoppiò in un
pianto dirotto, e i carabinieri che la scortavano dovettero
intervenire per difenderla.
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Disegno di Arianna Aliffi |
Ma
cosa aveva fatto Angelina Castellano per meritare la galera? Era
successo che negli ultimi giorni dell’anno che si era da poco
concluso, la signora Maria Leoni, abitante al numero 72 di via del
Giglio, nelle vicinanze della chiesa dei Marinai, si vide recapitare
un pacco proveniente da Lipari, che conteneva dell’uva passa e un
involto di carta con dei dolci. Il tutto era accompagnato da un
biglietto, che ammoniva: «Cara Marietta, i dolci li mangerai tu sola
senza darne a nissuno, altrimenti non ti voglio più bene, un bacio a
Peppinello, molto a te. Firmato: Affezio».
La
destinataria del biglietto, però, non diede molto peso a quella
raccomandazione e, un po’ perché si era sotto le feste di Natale,
un po’ perché dovette prevalere il principio che «occhio non
vede, cuore non duole», condivise con i suoi familiari i dolci
eoliani.
Avevano
mangiato la metà di quei dolci quando Maria Leoni, la madre e la
sorella iniziarono ad avvertire terribili dolori al ventre, e a
vomitare violentemente. Si rivolsero a un farmacista, che fece
prendere loro un vomitivo, ma la loro salute non migliorava.
La
madre della Leoni, pur in preda a dolori lancinanti, trovò la forza
di andare a sporgere denuncia. Si recò sul posto il viceispettore
Filomene con una squadra di agenti di Pubblica Sicurezza, uno dei
quali, il vicebrigadiere Canale, durante il sopralluogo, non seppe
resistere alla vista dei dolci e prese a mangiarne, venendo assalito
anche lui da vomito e atroci dolori al ventre.
La
povera Marietta Leoni moriva di lì a poco, la madre e la sorella
rimanevano gravi, il Canale se la cavava con poco, in base alla
quantità di dolci mangiati, e quindi di veleno ingerito. Rimaneva da
stabilire chi e perché avesse potuto perpetrare un così crudele
delitto.
Dalle
congiunte si venne a sapere che la vittima, vedova, era fidanzata con
un certo Castellano di Lipari, e a giorni si sarebbe dovuto celebrare
il matrimonio, che però non era ben visto da nessuna delle due
famiglie. La prima ipotesi formulata dagli inquirenti fu che si
potesse trattare di un delitto commesso da un terzo uomo, innamorato
della donna e respinto.
Il
cavaliere Restivo, Procuratore del Re, però, cambiava presto
direzione alle indagini, e il giorno dopo ordinava l’arresto a
Lipari di Angelina Castellano, figlia di quell’Angelo Castellano
che avrebbe dovuto impalmare la «vedovella di via Giglio»: costei,
vedendo in pericolo la propria eredità, aveva deciso di ricorrere al
più drastico dei rimedi, «che le costerà la perdita della sua
libertà per tutta la vita».
Nei
giorni seguenti l’autopsia avrebbe confermato l’avvelenamento, e
veniva diffusa la notizia che il vicebrigadiere Canale e le parenti
della vittima erano fuori pericolo.
A
Lipari venne tratta in arresto anche tale Francesca Giuffrè, che
aveva portato il pacco all’ufficio postale, diventando complice
della Castellano. Quest’ultima, come detto in apertura, venne
condotta al carcere di Messina, dove avrebbe atteso tra le lacrime il
processo che l’avrebbe tenuta dentro per un gran numero di anni.
Gerardo Rizzo
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